Divina Commedia di Dante: Purgatorio
by
Dante Alighieri

Part 2 out of 4



tosto, si` che possiate muover l'ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,

mostrate da qual mano inver' la scala
si va piu` corto; e se c'e` piu` d'un varco,
quel ne 'nsegnate che men erto cala;

che' questi che vien meco, per lo 'ncarco
de la carne d'Adamo onde si veste,
al montar su`, contra sua voglia, e` parco>>.

Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu' io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;

ma fu detto: < con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.

E s'io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,

cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.

Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo gia` mai fu vosco.

L'antico sangue e l'opere leggiadre
d'i miei maggior mi fer si` arrogante,
che, non pensando a la comune madre,

ogn'uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno
e sallo in Campagnatico ogne fante.

Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, che' tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.

E qui convien ch'io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti>>.

Ascoltando chinai in giu` la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,

e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.

<>, diss'io lui, < l'onor d'Agobbio e l'onor di quell'arte
ch'alluminar chiamata e` in Parisi?>>.

<>, diss'elli, < che pennelleggia Franco Bolognese;
l'onore e` tutto or suo, e mio in parte.

Ben non sare' io stato si` cortese
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
de l'eccellenza ove mio core intese.

Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.

Oh vana gloria de l'umane posse!
com'poco verde in su la cima dura,
se non e` giunta da l'etati grosse!

Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
si` che la fama di colui e` scura:

cosi` ha tolto l'uno a l'altro Guido
la gloria de la lingua; e forse e` nato
chi l'uno e l'altro caccera` del nido.

Non e` il mondan romore altro ch'un fiato
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perche' muta lato.

Che voce avrai tu piu`, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi',

pria che passin mill'anni? ch'e` piu` corto
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia
al cerchio che piu` tardi in cielo e` torto.

Colui che del cammin si` poco piglia
dinanzi a me, Toscana sono` tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,

ond'era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo si` com'ora e` putta.

La vostra nominanza e` color d'erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba>>.

E io a lui: < bona umilta`, e gran tumor m'appiani;
ma chi e` quei di cui tu parlavi ora?>>.

<>, rispuose, < ed e` qui perche' fu presuntuoso
a recar Siena tutta a le sue mani.

Ito e` cosi` e va, sanza riposo,
poi che mori`; cotal moneta rende
a sodisfar chi e` di la` troppo oso>>.

E io: < pria che si penta, l'orlo de la vita,
qua giu` dimora e qua su` non ascende,

se buona orazion lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?>>.

<>, disse,
< ogne vergogna diposta, s'affisse;

e li`, per trar l'amico suo di pena
ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.

Piu` non diro`, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andra`, che ' tuoi vicini
faranno si` che tu potrai chiosarlo.

Quest'opera li tolse quei confini>>.



Purgatorio: Canto XII


Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m'andava io con quell'anima carca,
fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.

Ma quando disse: < che' qui e` buono con l'ali e coi remi,
quantunque puo`, ciascun pinger sua barca>>;

dritto si` come andar vuolsi rife'mi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.

Io m'era mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
gia` mostravam com'eravam leggeri;

ed el mi disse: < buon ti sara`, per tranquillar la via,
veder lo letto de le piante tue>>.

Come, perche' di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne
portan segnato quel ch'elli eran pria,

onde li` molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
che solo a' pii da` de le calcagne;

si` vid'io li`, ma di miglior sembianza
secondo l'artificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.

Vedea colui che fu nobil creato
piu` ch'altra creatura, giu` dal cielo
folgoreggiando scender, da l'un lato.

Vedea Briareo, fitto dal telo
celestial giacer, da l'altra parte,
grave a la terra per lo mortal gelo.

Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra d'i Giganti sparte.

Vedea Nembrot a pie` del gran lavoro
quasi smarrito, e riguardar le genti
che 'n Sennaar con lui superbi fuoro.

O Niobe`, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada,
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!

O Saul, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboe`,
che poi non senti` pioggia ne' rugiada!

O folle Aragne, si` vedea io te
gia` mezza ragna, trista in su li stracci
de l'opera che mal per te si fe'.

O Roboam, gia` non par che minacci
quivi 'l tuo segno; ma pien di spavento
nel porta un carro, sanza ch'altri il cacci.

Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fe' caro
parer lo sventurato addornamento.

Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherib dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro.

Mostrava la ruina e 'l crudo scempio
che fe' Tamiri, quando disse a Ciro:
<>.

Mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro.

Vedeva Troia in cenere e in caverne;
o Ilion, come te basso e vile
mostrava il segno che li` si discerne!

Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l'ombre e ' tratti ch'ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?

Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
quant'io calcai, fin che chinato givi.

Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli d'Eva, e non chinate il volto
si` che veggiate il vostro mal sentero!

Piu` era gia` per noi del monte volto
e del cammin del sole assai piu` speso
che non stimava l'animo non sciolto,

quando colui che sempre innanzi atteso
andava, comincio`: < non e` piu` tempo di gir si` sospeso.

Vedi cola` un angel che s'appresta
per venir verso noi; vedi che torna
dal servigio del di` l'ancella sesta.

Di reverenza il viso e li atti addorna,
si` che i diletti lo 'nviarci in suso;
pensa che questo di` mai non raggiorna!>>.

Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, si` che 'n quella
materia non potea parlarmi chiuso.

A noi venia la creatura bella,
biancovestito e ne la faccia quale
par tremolando mattutina stella.

Le braccia aperse, e indi aperse l'ale;
disse: < e agevolemente omai si sale.

A questo invito vegnon molto radi:
o gente umana, per volar su` nata,
perche' a poco vento cosi` cadi?>>.

Menocci ove la roccia era tagliata;
quivi mi batte' l'ali per la fronte;
poi mi promise sicura l'andata.

Come a man destra, per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte,

si rompe del montar l'ardita foga
per le scalee che si fero ad etade
ch'era sicuro il quaderno e la doga;

cosi` s'allenta la ripa che cade
quivi ben ratta da l'altro girone;
ma quinci e quindi l'alta pietra rade.

Noi volgendo ivi le nostre persone,
'Beati pauperes spiritu!' voci
cantaron si`, che nol diria sermone.

Ahi quanto son diverse quelle foci
da l'infernali! che' quivi per canti
s'entra, e la` giu` per lamenti feroci.

Gia` montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo piu` lieve
che per lo pian non mi parea davanti.

Ond'io: < levata s'e` da me, che nulla quasi
per me fatica, andando, si riceve?>>.

Rispuose: < ancor nel volto tuo presso che stinti,
saranno, com'e` l'un, del tutto rasi,

fier li tuoi pie` dal buon voler si` vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
ma fia diletto loro esser su` pinti>>.

Allor fec'io come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
se non che ' cenni altrui sospecciar fanno;

per che la mano ad accertar s'aiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
che non si puo` fornir per la veduta;

e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che 'ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:

a che guardando, il mio duca sorrise.



Purgatorio: Canto XIII


Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala.

Ivi cosi` una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
se non che l'arco suo piu` tosto piega.

Ombra non li` e` ne' segno che si paia:
parsi la ripa e parsi la via schietta
col livido color de la petraia.

<>,
ragionava il poeta, < che troppo avra` d'indugio nostra eletta>>.

Poi fisamente al sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
e la sinistra parte di se' torse.

< per lo novo cammin, tu ne conduci>>,
dicea, <
Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci;
s'altra ragione in contrario non ponta,
esser dien sempre li tuoi raggi duci>>.

Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di la` eravam noi gia` iti,
con poco tempo, per la voglia pronta;

e verso noi volar furon sentiti,
non pero` visti, spiriti parlando
a la mensa d'amor cortesi inviti.

La prima voce che passo` volando
'Vinum non habent' altamente disse,
e dietro a noi l'ando` reiterando.

E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, un'altra 'I' sono Oreste'
passo` gridando, e anco non s'affisse.

<>, diss'io, <>.
E com'io domandai, ecco la terza
dicendo: 'Amate da cui male aveste'.

E 'l buon maestro: < la colpa de la invidia, e pero` sono
tratte d'amor le corde de la ferza.

Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l'udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono.

Ma ficca li occhi per l'aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun e` lungo la grotta assiso>>.

Allora piu` che prima li occhi apersi;
guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi.

E poi che fummo un poco piu` avanti,
udia gridar: 'Maria, ora per noi':
gridar 'Michele' e 'Pietro', e 'Tutti santi'.

Non credo che per terra vada ancoi
omo si` duro, che non fosse punto
per compassion di quel ch'i' vidi poi;

che', quando fui si` presso di lor giunto,
che li atti loro a me venivan certi,
per li occhi fui di grave dolor munto.

Di vil ciliccio mi parean coperti,
e l'un sofferia l'altro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti.

Cosi` li ciechi a cui la roba falla
stanno a' perdoni a chieder lor bisogna,
e l'uno il capo sopra l'altro avvalla,

perche' 'n altrui pieta` tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna.

E come a li orbi non approda il sole,
cosi` a l'ombre quivi, ond'io parlo ora,
luce del ciel di se' largir non vole;

che' a tutti un fil di ferro i cigli fora
e cusce si`, come a sparvier selvaggio
si fa pero` che queto non dimora.

A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio.

Ben sapev'ei che volea dir lo muto;
e pero` non attese mia dimanda,
ma disse: <>.

Virgilio mi venia da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
perche' da nulla sponda s'inghirlanda;

da l'altra parte m'eran le divote
ombre, che per l'orribile costura
premevan si`, che bagnavan le gote.

Volsimi a loro e <>,
incominciai, < che 'l disio vostro solo ha in sua cura,

se tosto grazia resolva le schiume
di vostra coscienza si` che chiaro
per essa scenda de la mente il fiume,

ditemi, che' mi fia grazioso e caro,
s'anima e` qui tra voi che sia latina;
e forse lei sara` buon s'i' l'apparo>>.

< d'una vera citta`; ma tu vuo' dire
che vivesse in Italia peregrina>>.

Questo mi parve per risposta udire
piu` innanzi alquanto che la` dov'io stava,
ond'io mi feci ancor piu` la` sentire.

Tra l'altre vidi un'ombra ch'aspettava
in vista; e se volesse alcun dir 'Come?',
lo mento a guisa d'orbo in su` levava.

<>, diss'io, < se tu se' quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome>>.

<>, rispuose, < altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che se' ne presti.

Savia non fui, avvegna che Sapia
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
piu` lieta assai che di ventura mia.

E perche' tu non creda ch'io t'inganni,
odi s'i' fui, com'io ti dico, folle,
gia` discendendo l'arco d'i miei anni.

Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co' loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.

Rotti fuor quivi e volti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,

tanto ch'io volsi in su` l'ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai piu` non ti temo!",
come fe' 'l merlo per poca bonaccia.

Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo,

se cio` non fosse, ch'a memoria m'ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe.

Ma tu chi se', che nostre condizioni
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
si` com'io credo, e spirando ragioni?>>.

<
  • >, diss'io, < ma picciol tempo, che' poca e` l'offesa
    fatta per esser con invidia volti.

    Troppa e` piu` la paura ond'e` sospesa
    l'anima mia del tormento di sotto,
    che gia` lo 'ncarco di la` giu` mi pesa>>.

    Ed ella a me: < qua su` tra noi, se giu` ritornar credi?>>.
    E io: <
    E vivo sono; e pero` mi richiedi,
    spirito eletto, se tu vuo' ch'i' mova
    di la` per te ancor li mortai piedi>>.

    <>,
    rispuose, < pero` col priego tuo talor mi giova.

    E cheggioti, per quel che tu piu` brami,
    se mai calchi la terra di Toscana,
    che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.

    Tu li vedrai tra quella gente vana
    che spera in Talamone, e perderagli
    piu` di speranza ch'a trovar la Diana;

    ma piu` vi perderanno li ammiragli>>.



    Purgatorio: Canto XIV


    < prima che morte li abbia dato il volo,
    e apre li occhi a sua voglia e coverchia?>>.

    < domandal tu che piu` li t'avvicini,
    e dolcemente, si` che parli, acco'lo>>.

    Cosi` due spirti, l'uno a l'altro chini,
    ragionavan di me ivi a man dritta;
    poi fer li visi, per dirmi, supini;

    e disse l'uno: < nel corpo ancora inver' lo ciel ten vai,
    per carita` ne consola e ne ditta

    onde vieni e chi se'; che' tu ne fai
    tanto maravigliar de la tua grazia,
    quanto vuol cosa che non fu piu` mai>>.

    E io: < un fiumicel che nasce in Falterona,
    e cento miglia di corso nol sazia.

    Di sovr'esso rech'io questa persona:
    dirvi ch'i' sia, saria parlare indarno,
    che' 'l nome mio ancor molto non suona>>.

    < con lo 'ntelletto>>, allora mi rispuose
    quei che diceva pria, <>.

    E l'altro disse lui: < questi il vocabol di quella riviera,
    pur com'om fa de l'orribili cose?>>.

    E l'ombra che di cio` domandata era,
    si sdebito` cosi`: < ben e` che 'l nome di tal valle pera;

    che' dal principio suo, ov'e` si` pregno
    l'alpestro monte ond'e` tronco Peloro,
    che 'n pochi luoghi passa oltra quel segno,

    infin la` 've si rende per ristoro
    di quel che 'l ciel de la marina asciuga,
    ond'hanno i fiumi cio` che va con loro,

    vertu` cosi` per nimica si fuga
    da tutti come biscia, o per sventura
    del luogo, o per mal uso che li fruga:

    ond'hanno si` mutata lor natura
    li abitator de la misera valle,
    che par che Circe li avesse in pastura.

    Tra brutti porci, piu` degni di galle
    che d'altro cibo fatto in uman uso,
    dirizza prima il suo povero calle.

    Botoli trova poi, venendo giuso,
    ringhiosi piu` che non chiede lor possa,
    e da lor disdegnosa torce il muso.

    Vassi caggendo; e quant'ella piu` 'ngrossa,
    tanto piu` trova di can farsi lupi
    la maladetta e sventurata fossa.

    Discesa poi per piu` pelaghi cupi,
    trova le volpi si` piene di froda,
    che non temono ingegno che le occupi.

    Ne' lascero` di dir perch'altri m'oda;
    e buon sara` costui, s'ancor s'ammenta
    di cio` che vero spirto mi disnoda.

    Io veggio tuo nepote che diventa
    cacciator di quei lupi in su la riva
    del fiero fiume, e tutti li sgomenta.

    Vende la carne loro essendo viva;
    poscia li ancide come antica belva;
    molti di vita e se' di pregio priva.

    Sanguinoso esce de la trista selva;
    lasciala tal, che di qui a mille anni
    ne lo stato primaio non si rinselva>>.

    Com'a l'annunzio di dogliosi danni
    si turba il viso di colui ch'ascolta,
    da qual che parte il periglio l'assanni,

    cosi` vid'io l'altr'anima, che volta
    stava a udir, turbarsi e farsi trista,
    poi ch'ebbe la parola a se' raccolta.

    Lo dir de l'una e de l'altra la vista
    mi fer voglioso di saper lor nomi,
    e dimanda ne fei con prieghi mista;

    per che lo spirto che di pria parlomi
    ricomincio`: < nel fare a te cio` che tu far non vuo'mi.

    Ma da che Dio in te vuol che traluca
    tanto sua grazia, non ti saro` scarso;
    pero` sappi ch'io fui Guido del Duca.

    Fu il sangue mio d'invidia si` riarso,
    che se veduto avesse uom farsi lieto,
    visto m'avresti di livore sparso.

    Di mia semente cotal paglia mieto;
    o gente umana, perche' poni 'l core
    la` 'v'e` mestier di consorte divieto?

    Questi e` Rinier; questi e` 'l pregio e l'onore
    de la casa da Calboli, ove nullo
    fatto s'e` reda poi del suo valore.

    E non pur lo suo sangue e` fatto brullo,
    tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno,
    del ben richesto al vero e al trastullo;

    che' dentro a questi termini e` ripieno
    di venenosi sterpi, si` che tardi
    per coltivare omai verrebber meno.

    Ov'e` 'l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
    Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
    Oh Romagnuoli tornati in bastardi!

    Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
    quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
    verga gentil di picciola gramigna?

    Non ti maravigliar s'io piango, Tosco,
    quando rimembro con Guido da Prata,
    Ugolin d'Azzo che vivette nosco,

    Federigo Tignoso e sua brigata,
    la casa Traversara e li Anastagi
    (e l'una gente e l'altra e` diretata),

    le donne e ' cavalier, li affanni e li agi
    che ne 'nvogliava amore e cortesia
    la` dove i cuor son fatti si` malvagi.

    O Bretinoro, che' non fuggi via,
    poi che gita se n'e` la tua famiglia
    e molta gente per non esser ria?

    Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
    e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
    che di figliar tai conti piu` s'impiglia.

    Ben faranno i Pagan, da che 'l demonio
    lor sen gira`; ma non pero` che puro
    gia` mai rimagna d'essi testimonio.

    O Ugolin de' Fantolin, sicuro
    e` il nome tuo, da che piu` non s'aspetta
    chi far lo possa, tralignando, scuro.

    Ma va via, Tosco, omai; ch'or mi diletta
    troppo di pianger piu` che di parlare,
    si` m'ha nostra ragion la mente stretta>>.

    Noi sapavam che quell'anime care
    ci sentivano andar; pero`, tacendo,
    facean noi del cammin confidare.

    Poi fummo fatti soli procedendo,
    folgore parve quando l'aere fende,
    voce che giunse di contra dicendo:

    'Anciderammi qualunque m'apprende';
    e fuggi` come tuon che si dilegua,
    se subito la nuvola scoscende.

    Come da lei l'udir nostro ebbe triegua,
    ed ecco l'altra con si` gran fracasso,
    che somiglio` tonar che tosto segua:

    <>;
    e allor, per ristrignermi al poeta,
    in destro feci e non innanzi il passo.

    Gia` era l'aura d'ogne parte queta;
    ed el mi disse: < che dovria l'uom tener dentro a sua meta.

    Ma voi prendete l'esca, si` che l'amo
    de l'antico avversaro a se' vi tira;
    e pero` poco val freno o richiamo.

    Chiamavi 'l cielo e 'ntorno vi si gira,
    mostrandovi le sue bellezze etterne,
    e l'occhio vostro pur a terra mira;

    onde vi batte chi tutto discerne>>.



    Purgatorio: Canto XV


    Quanto tra l'ultimar de l'ora terza
    e 'l principio del di` par de la spera
    che sempre a guisa di fanciullo scherza,

    tanto pareva gia` inver' la sera
    essere al sol del suo corso rimaso;
    vespero la`, e qui mezza notte era.

    E i raggi ne ferien per mezzo 'l naso,
    perche' per noi girato era si` 'l monte,
    che gia` dritti andavamo inver' l'occaso,

    quand'io senti' a me gravar la fronte
    a lo splendore assai piu` che di prima,
    e stupor m'eran le cose non conte;

    ond'io levai le mani inver' la cima
    de le mie ciglia, e fecimi 'l solecchio,
    che del soverchio visibile lima.

    Come quando da l'acqua o da lo specchio
    salta lo raggio a l'opposita parte,
    salendo su per lo modo parecchio

    a quel che scende, e tanto si diparte
    dal cader de la pietra in igual tratta,
    si` come mostra esperienza e arte;

    cosi` mi parve da luce rifratta
    quivi dinanzi a me esser percosso;
    per che a fuggir la mia vista fu ratta.

    < schermar lo viso tanto che mi vaglia>>,
    diss'io, <>.

    < la famiglia del cielo>>, a me rispuose:
    <
    Tosto sara` ch'a veder queste cose
    non ti fia grave, ma fieti diletto
    quanto natura a sentir ti dispuose>>.

    Poi giunti fummo a l'angel benedetto,
    con lieta voce disse: < ad un scaleo vie men che li altri eretto>>.

    Noi montavam, gia` partiti di linci,
    e 'Beati misericordes!' fue
    cantato retro, e 'Godi tu che vinci!'.

    Lo mio maestro e io soli amendue
    suso andavamo; e io pensai, andando,
    prode acquistar ne le parole sue;

    e dirizza'mi a lui si` dimandando:
    < e 'divieto' e 'consorte' menzionando?>>.

    Per ch'elli a me: < conosce il danno; e pero` non s'ammiri
    se ne riprende perche' men si piagna.

    Perche' s'appuntano i vostri disiri
    dove per compagnia parte si scema,
    invidia move il mantaco a' sospiri.

    Ma se l'amor de la spera supprema
    torcesse in suso il disiderio vostro,
    non vi sarebbe al petto quella tema;

    che', per quanti si dice piu` li` 'nostro',
    tanto possiede piu` di ben ciascuno,
    e piu` di caritate arde in quel chiostro>>.

    <>,
    diss'io, < e piu` di dubbio ne la mente aduno.

    Com'esser puote ch'un ben, distributo
    in piu` posseditor, faccia piu` ricchi
    di se', che se da pochi e` posseduto?>>.

    Ed elli a me: < la mente pur a le cose terrene,
    di vera luce tenebre dispicchi.

    Quello infinito e ineffabil bene
    che la` su` e`, cosi` corre ad amore
    com'a lucido corpo raggio vene.

    Tanto si da` quanto trova d'ardore;
    si` che, quantunque carita` si stende,
    cresce sovr'essa l'etterno valore.

    E quanta gente piu` la` su` s'intende,
    piu` v'e` da bene amare, e piu` vi s'ama,
    e come specchio l'uno a l'altro rende.

    E se la mia ragion non ti disfama,
    vedrai Beatrice, ed ella pienamente
    ti torra` questa e ciascun'altra brama.

    Procaccia pur che tosto sieno spente,
    come son gia` le due, le cinque piaghe,
    che si richiudon per esser dolente>>.

    Com'io voleva dicer 'Tu m'appaghe',
    vidimi giunto in su l'altro girone,
    si` che tacer mi fer le luci vaghe.

    Ivi mi parve in una visione
    estatica di subito esser tratto,
    e vedere in un tempio piu` persone;

    e una donna, in su l'entrar, con atto
    dolce di madre dicer: < perche' hai tu cosi` verso noi fatto?

    Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
    ti cercavamo>>. E come qui si tacque,
    cio` che pareva prima, dispario.

    Indi m'apparve un'altra con quell'acque
    giu` per le gote che 'l dolor distilla
    quando di gran dispetto in altrui nacque,

    e dir: < del cui nome ne' dei fu tanta lite,
    e onde ogni scienza disfavilla,

    vendica te di quelle braccia ardite
    ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistrato>>.
    E 'l segnor mi parea, benigno e mite,

    risponder lei con viso temperato:
    < se quei che ci ama e` per noi condannato?>>,

    Poi vidi genti accese in foco d'ira
    con pietre un giovinetto ancider, forte
    gridando a se' pur: <>.

    E lui vedea chinarsi, per la morte
    che l'aggravava gia`, inver' la terra,
    ma de li occhi facea sempre al ciel porte,

    orando a l'alto Sire, in tanta guerra,
    che perdonasse a' suoi persecutori,
    con quello aspetto che pieta` diserra.

    Quando l'anima mia torno` di fori
    a le cose che son fuor di lei vere,
    io riconobbi i miei non falsi errori.

    Lo duca mio, che mi potea vedere
    far si` com'om che dal sonno si slega,
    disse: <
    ma se' venuto piu` che mezza lega
    velando li occhi e con le gambe avvolte,
    a guisa di cui vino o sonno piega?>>.

    < io ti diro`>>, diss'io, < quando le gambe mi furon si` tolte>>.

    Ed ei: < sovra la faccia, non mi sarian chiuse
    le tue cogitazion, quantunque parve.

    Cio` che vedesti fu perche' non scuse
    d'aprir lo core a l'acque de la pace
    che da l'etterno fonte son diffuse.

    Non dimandai "Che hai?" per quel che face
    chi guarda pur con l'occhio che non vede,
    quando disanimato il corpo giace;

    ma dimandai per darti forza al piede:
    cosi` frugar conviensi i pigri, lenti
    ad usar lor vigilia quando riede>>.

    Noi andavam per lo vespero, attenti
    oltre quanto potean li occhi allungarsi
    contra i raggi serotini e lucenti.

    Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
    verso di noi come la notte oscuro;
    ne' da quello era loco da cansarsi.

    Questo ne tolse li occhi e l'aere puro.



    Purgatorio: Canto XVI


    Buio d'inferno e di notte privata
    d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
    quant'esser puo` di nuvol tenebrata,

    non fece al viso mio si` grosso velo
    come quel fummo ch'ivi ci coperse,
    ne' a sentir di cosi` aspro pelo,

    che l'occhio stare aperto non sofferse;
    onde la scorta mia saputa e fida
    mi s'accosto` e l'omero m'offerse.

    Si` come cieco va dietro a sua guida
    per non smarrirsi e per non dar di cozzo
    in cosa che 'l molesti, o forse ancida,

    m'andava io per l'aere amaro e sozzo,
    ascoltando il mio duca che diceva
    pur: <>.

    Io sentia voci, e ciascuna pareva
    pregar per pace e per misericordia
    l'Agnel di Dio che le peccata leva.

    Pur 'Agnus Dei' eran le loro essordia;
    una parola in tutte era e un modo,
    si` che parea tra esse ogne concordia.

    <>,
    diss'io. Ed elli a me: < e d'iracundia van solvendo il nodo>>.

    < e di noi parli pur come se tue
    partissi ancor lo tempo per calendi?>>.

    Cosi` per una voce detto fue;
    onde 'l maestro mio disse: < e domanda se quinci si va sue>>.

    E io: < per tornar bella a colui che ti fece,
    maraviglia udirai, se mi secondi>>.

    <>,
    rispuose; < l'udir ci terra` giunti in quella vece>>.

    Allora incominciai: < che la morte dissolve men vo suso,
    e venni qui per l'infernale ambascia.

    E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso,
    tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte
    per modo tutto fuor del moderno uso,

    non mi celar chi fosti anzi la morte,
    ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco;
    e tue parole fier le nostre scorte>>.

    < del mondo seppi, e quel valore amai
    al quale ha or ciascun disteso l'arco.

    Per montar su` dirittamente vai>>.
    Cosi` rispuose, e soggiunse: < che per me prieghi quando su` sarai>>.

    E io a lui: < di far cio` che mi chiedi; ma io scoppio
    dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.

    Prima era scempio, e ora e` fatto doppio
    ne la sentenza tua, che mi fa certo
    qui, e altrove, quello ov'io l'accoppio.

    Lo mondo e` ben cosi` tutto diserto
    d'ogne virtute, come tu mi sone,
    e di malizia gravido e coverto;

    ma priego che m'addite la cagione,
    si` ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui;
    che' nel cielo uno, e un qua giu` la pone>>.

    Alto sospir, che duolo strinse in <>,
    mise fuor prima; e poi comincio`: < lo mondo e` cieco, e tu vien ben da lui.

    Voi che vivete ogne cagion recate
    pur suso al cielo, pur come se tutto
    movesse seco di necessitate.

    Se cosi` fosse, in voi fora distrutto
    libero arbitrio, e non fora giustizia
    per ben letizia, e per male aver lutto.

    Lo cielo i vostri movimenti inizia;
    non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica,
    lume v'e` dato a bene e a malizia,

    e libero voler; che, se fatica
    ne le prime battaglie col ciel dura,
    poi vince tutto, se ben si notrica.

    A maggior forza e a miglior natura
    liberi soggiacete; e quella cria
    la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura.

    Pero`, se 'l mondo presente disvia,
    in voi e` la cagione, in voi si cheggia;
    e io te ne saro` or vera spia.

    Esce di mano a lui che la vagheggia
    prima che sia, a guisa di fanciulla
    che piangendo e ridendo pargoleggia,

    l'anima semplicetta che sa nulla,
    salvo che, mossa da lieto fattore,
    volontier torna a cio` che la trastulla.

    Di picciol bene in pria sente sapore;
    quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,
    se guida o fren non torce suo amore.

    Onde convenne legge per fren porre;
    convenne rege aver che discernesse
    de la vera cittade almen la torre.

    Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
    Nullo, pero` che 'l pastor che procede,
    rugumar puo`, ma non ha l'unghie fesse;

    per che la gente, che sua guida vede
    pur a quel ben fedire ond'ella e` ghiotta,
    di quel si pasce, e piu` oltre non chiede.

    Ben puoi veder che la mala condotta
    e` la cagion che 'l mondo ha fatto reo,
    e non natura che 'n voi sia corrotta.

    Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
    due soli aver, che l'una e l'altra strada
    facean vedere, e del mondo e di Deo.

    L'un l'altro ha spento; ed e` giunta la spada
    col pasturale, e l'un con l'altro insieme
    per viva forza mal convien che vada;

    pero` che, giunti, l'un l'altro non teme:
    se non mi credi, pon mente a la spiga,
    ch'ogn'erba si conosce per lo seme.

    In sul paese ch'Adice e Po riga,
    solea valore e cortesia trovarsi,
    prima che Federigo avesse briga;

    or puo` sicuramente indi passarsi
    per qualunque lasciasse, per vergogna
    di ragionar coi buoni o d'appressarsi.

    Ben v'en tre vecchi ancora in cui rampogna
    l'antica eta` la nova, e par lor tardo
    che Dio a miglior vita li ripogna:

    Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo
    e Guido da Castel, che mei si noma
    francescamente, il semplice Lombardo.

    Di` oggimai che la Chiesa di Roma,
    per confondere in se' due reggimenti,
    cade nel fango e se' brutta e la soma>>.

    <>, diss'io, < e or discerno perche' dal retaggio
    li figli di Levi` furono essenti.

    Ma qual Gherardo e` quel che tu per saggio
    di' ch'e` rimaso de la gente spenta,
    in rimprovero del secol selvaggio?>>.

    <>,
    rispuose a me; < par che del buon Gherardo nulla senta.

    Per altro sopranome io nol conosco,
    s'io nol togliessi da sua figlia Gaia.
    Dio sia con voi, che' piu` non vegno vosco.

    Vedi l'albor che per lo fummo raia
    gia` biancheggiare, e me convien partirmi
    (l'angelo e` ivi) prima ch'io li paia>>.

    Cosi` torno`, e piu` non volle udirmi.



    Purgatorio: Canto XVII


    Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
    ti colse nebbia per la qual vedessi
    non altrimenti che per pelle talpe,

    come, quando i vapori umidi e spessi
    a diradar cominciansi, la spera
    del sol debilemente entra per essi;

    e fia la tua imagine leggera
    in giugnere a veder com'io rividi
    lo sole in pria, che gia` nel corcar era.

    Si`, pareggiando i miei co' passi fidi
    del mio maestro, usci' fuor di tal nube
    ai raggi morti gia` ne' bassi lidi.

    O imaginativa che ne rube
    talvolta si` di fuor, ch'om non s'accorge
    perche' dintorno suonin mille tube,

    chi move te, se 'l senso non ti porge?
    Moveti lume che nel ciel s'informa,
    per se' o per voler che giu` lo scorge.

    De l'empiezza di lei che muto` forma
    ne l'uccel ch'a cantar piu` si diletta,
    ne l'imagine mia apparve l'orma;

    e qui fu la mia mente si` ristretta
    dentro da se', che di fuor non venia
    cosa che fosse allor da lei ricetta.

    Poi piovve dentro a l'alta fantasia
    un crucifisso dispettoso e fero
    ne la sua vista, e cotal si moria;

    intorno ad esso era il grande Assuero,
    Ester sua sposa e 'l giusto Mardoceo,
    che fu al dire e al far cosi` intero.

    E come questa imagine rompeo
    se' per se' stessa, a guisa d'una bulla
    cui manca l'acqua sotto qual si feo,

    surse in mia visione una fanciulla
    piangendo forte, e dicea: < perche' per ira hai voluto esser nulla?

    Ancisa t'hai per non perder Lavina;
    or m'hai perduta! Io son essa che lutto,
    madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina>>.

    Come si frange il sonno ove di butto
    nova luce percuote il viso chiuso,
    che fratto guizza pria che muoia tutto;

    cosi` l'imaginar mio cadde giuso
    tosto che lume il volto mi percosse,
    maggior assai che quel ch'e` in nostro uso.

    I' mi volgea per veder ov'io fosse,
    quando una voce disse <>,
    che da ogne altro intento mi rimosse;

    e fece la mia voglia tanto pronta
    di riguardar chi era che parlava,
    che mai non posa, se non si raffronta.

    Ma come al sol che nostra vista grava
    e per soverchio sua figura vela,
    cosi` la mia virtu` quivi mancava.

    < via da ir su` ne drizza sanza prego,
    e col suo lume se' medesmo cela.

    Si` fa con noi, come l'uom si fa sego;
    che' quale aspetta prego e l'uopo vede,
    malignamente gia` si mette al nego.

    Or accordiamo a tanto invito il piede;
    procacciam di salir pria che s'abbui,
    che' poi non si poria, se 'l di` non riede>>.

    Cosi` disse il mio duca, e io con lui
    volgemmo i nostri passi ad una scala;
    e tosto ch'io al primo grado fui,

    senti'mi presso quasi un muover d'ala
    e ventarmi nel viso e dir: 'Beati
    pacifici, che son sanz'ira mala!'.

    Gia` eran sovra noi tanto levati
    li ultimi raggi che la notte segue,
    che le stelle apparivan da piu` lati.

    'O virtu` mia, perche' si` ti dilegue?',
    fra me stesso dicea, che' mi sentiva
    la possa de le gambe posta in triegue.

    Noi eravam dove piu` non saliva
    la scala su`, ed eravamo affissi,
    pur come nave ch'a la piaggia arriva.

    E io attesi un poco, s'io udissi
    alcuna cosa nel novo girone;
    poi mi volsi al maestro mio, e dissi:

    < si purga qui nel giro dove semo?
    Se i pie` si stanno, non stea tuo sermone>>.

    Ed elli a me: < del suo dover, quiritta si ristora;
    qui si ribatte il mal tardato remo.

    Ma perche' piu` aperto intendi ancora,
    volgi la mente a me, e prenderai
    alcun buon frutto di nostra dimora>>.

    <>,
    comincio` el, < o naturale o d'animo; e tu 'l sai.

    Lo naturale e` sempre sanza errore,
    ma l'altro puote errar per malo obietto
    o per troppo o per poco di vigore.

    Mentre ch'elli e` nel primo ben diretto,
    e ne' secondi se' stesso misura,
    esser non puo` cagion di mal diletto;

    ma quando al mal si torce, o con piu` cura
    o con men che non dee corre nel bene,
    contra 'l fattore adovra sua fattura.

    Quinci comprender puoi ch'esser convene
    amor sementa in voi d'ogne virtute
    e d'ogne operazion che merta pene.

    Or, perche' mai non puo` da la salute
    amor del suo subietto volger viso,
    da l'odio proprio son le cose tute;

    e perche' intender non si puo` diviso,
    e per se' stante, alcuno esser dal primo,
    da quello odiare ogne effetto e` deciso.

    Resta, se dividendo bene stimo,
    che 'l mal che s'ama e` del prossimo; ed esso
    amor nasce in tre modi in vostro limo.

    E' chi, per esser suo vicin soppresso,
    spera eccellenza, e sol per questo brama
    ch'el sia di sua grandezza in basso messo;

    e` chi podere, grazia, onore e fama
    teme di perder perch'altri sormonti,
    onde s'attrista si` che 'l contrario ama;

    ed e` chi per ingiuria par ch'aonti,
    si` che si fa de la vendetta ghiotto,
    e tal convien che 'l male altrui impronti.

    Questo triforme amor qua giu` di sotto
    si piange; or vo' che tu de l'altro intende,
    che corre al ben con ordine corrotto.

    Ciascun confusamente un bene apprende
    nel qual si queti l'animo, e disira;
    per che di giugner lui ciascun contende.

    Se lento amore a lui veder vi tira
    o a lui acquistar, questa cornice,
    dopo giusto penter, ve ne martira.

    Altro ben e` che non fa l'uom felice;
    non e` felicita`, non e` la buona
    essenza, d'ogne ben frutto e radice.

    L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona,
    di sovr'a noi si piange per tre cerchi;
    ma come tripartito si ragiona,

    tacciolo, accio` che tu per te ne cerchi>>.



    Purgatorio: Canto XVIII


    Posto avea fine al suo ragionamento
    l'alto dottore, e attento guardava
    ne la mia vista s'io parea contento;

    e io, cui nova sete ancor frugava,
    di fuor tacea, e dentro dicea: 'Forse
    lo troppo dimandar ch'io fo li grava'.

    Ma quel padre verace, che s'accorse
    del timido voler che non s'apriva,
    parlando, di parlare ardir mi porse.

    Ond'io: < si` nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
    quanto la tua ragion parta o descriva.

    Pero` ti prego, dolce padre caro,
    che mi dimostri amore, a cui reduci
    ogne buono operare e 'l suo contraro>>.

    <>, disse, < de lo 'ntelletto, e fieti manifesto
    l'error de' ciechi che si fanno duci.

    L'animo, ch'e` creato ad amar presto,
    ad ogne cosa e` mobile che piace,
    tosto che dal piacere in atto e` desto.

    Vostra apprensiva da esser verace
    tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
    si` che l'animo ad essa volger face;

    e se, rivolto, inver' di lei si piega,
    quel piegare e` amor, quell'e` natura
    che per piacer di novo in voi si lega.

    Poi, come 'l foco movesi in altura
    per la sua forma ch'e` nata a salire
    la` dove piu` in sua matera dura,

    cosi` l'animo preso entra in disire,
    ch'e` moto spiritale, e mai non posa
    fin che la cosa amata il fa gioire.

    Or ti puote apparer quant'e` nascosa
    la veritate a la gente ch'avvera
    ciascun amore in se' laudabil cosa;

    pero` che forse appar la sua matera
    sempre esser buona, ma non ciascun segno
    e` buono, ancor che buona sia la cera>>.

    <>,
    rispuos'io lui, < ma cio` m'ha fatto di dubbiar piu` pregno;

    che', s'amore e` di fuori a noi offerto,
    e l'anima non va con altro piede,
    se dritta o torta va, non e` suo merto>>.

    Ed elli a me: < dir ti poss'io; da indi in la` t'aspetta
    pur a Beatrice, ch'e` opra di fede.

    Ogne forma sustanzial, che setta
    e` da matera ed e` con lei unita,
    specifica vertute ha in se' colletta,

    la qual sanza operar non e` sentita,
    ne' si dimostra mai che per effetto,
    come per verdi fronde in pianta vita.

    Pero`, la` onde vegna lo 'ntelletto
    de le prime notizie, omo non sape,
    e de' primi appetibili l'affetto,

    che sono in voi si` come studio in ape
    di far lo mele; e questa prima voglia
    merto di lode o di biasmo non cape.

    Or perche' a questa ogn'altra si raccoglia,
    innata v'e` la virtu` che consiglia,
    e de l'assenso de' tener la soglia.

    Quest'e` 'l principio la` onde si piglia
    ragion di meritare in voi, secondo
    che buoni e rei amori accoglie e viglia.

    Color che ragionando andaro al fondo,
    s'accorser d'esta innata libertate;
    pero` moralita` lasciaro al mondo.

    Onde, poniam che di necessitate
    surga ogne amor che dentro a voi s'accende,
    di ritenerlo e` in voi la podestate.

    La nobile virtu` Beatrice intende
    per lo libero arbitrio, e pero` guarda
    che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende>>.

    La luna, quasi a mezza notte tarda,
    facea le stelle a noi parer piu` rade,
    fatta com'un secchion che tuttor arda;

    e correa contro 'l ciel per quelle strade
    che 'l sole infiamma allor che quel da Roma
    tra Sardi e ' Corsi il vede quando cade.

    E quell'ombra gentil per cui si noma
    Pietola piu` che villa mantoana,
    del mio carcar diposta avea la soma;

    per ch'io, che la ragione aperta e piana
    sovra le mie quistioni avea ricolta,
    stava com'om che sonnolento vana.

    Ma questa sonnolenza mi fu tolta
    subitamente da gente che dopo
    le nostre spalle a noi era gia` volta.

    E quale Ismeno gia` vide e Asopo
    lungo di se` di notte furia e calca,
    pur che i Teban di Bacco avesser uopo,

    cotal per quel giron suo passo falca,
    per quel ch'io vidi di color, venendo,
    cui buon volere e giusto amor cavalca.

    Tosto fur sovr'a noi, perche' correndo
    si movea tutta quella turba magna;
    e due dinanzi gridavan piangendo:

    < e Cesare, per soggiogare Ilerda,
    punse Marsilia e poi corse in Ispagna>>.

    < per poco amor>>, gridavan li altri appresso,
    <>.

    < ricompie forse negligenza e indugio
    da voi per tepidezza in ben far messo,

    questi che vive, e certo i' non vi bugio,
    vuole andar su`, pur che 'l sol ne riluca;
    pero` ne dite ond'e` presso il pertugio>>.

    Parole furon queste del mio duca;
    e un di quelli spirti disse: < di retro a noi, e troverai la buca.

    Noi siam di voglia a muoverci si` pieni,
    che restar non potem; pero` perdona,
    se villania nostra giustizia tieni.

    Io fui abate in San Zeno a Verona
    sotto lo 'mperio del buon Barbarossa,
    di cui dolente ancor Milan ragiona.

    E tale ha gia` l'un pie` dentro la fossa,
    che tosto piangera` quel monastero,
    e tristo fia d'avere avuta possa;

    perche' suo figlio, mal del corpo intero,
    e de la mente peggio, e che mal nacque,
    ha posto in loco di suo pastor vero>>.

    Io non so se piu` disse o s'ei si tacque,
    tant'era gia` di la` da noi trascorso;
    ma questo intesi, e ritener mi piacque.

    E quei che m'era ad ogne uopo soccorso
    disse: < venir dando a l'accidia di morso>>.

    Di retro a tutti dicean: < morta la gente a cui il mar s'aperse,
    che vedesse Iordan le rede sue.

    E quella che l'affanno non sofferse
    fino a la fine col figlio d'Anchise,
    se' stessa a vita sanza gloria offerse>>.

    Poi quando fuor da noi tanto divise
    quell'ombre, che veder piu` non potiersi,
    novo pensiero dentro a me si mise,

    del qual piu` altri nacquero e diversi;
    e tanto d'uno in altro vaneggiai,
    che li occhi per vaghezza ricopersi,

    e 'l pensamento in sogno trasmutai.



    Purgatorio: Canto XIX


    Ne l'ora che non puo` 'l calor diurno
    intepidar piu` 'l freddo de la luna,
    vinto da terra, e talor da Saturno

    - quando i geomanti lor Maggior Fortuna
    veggiono in oriiente, innanzi a l'alba,
    surger per via che poco le sta bruna -,

    mi venne in sogno una femmina balba,
    ne li occhi guercia, e sovra i pie` distorta,
    con le man monche, e di colore scialba.

    Io la mirava; e come 'l sol conforta
    le fredde membra che la notte aggrava,
    cosi` lo sguardo mio le facea scorta

    la lingua, e poscia tutta la drizzava
    in poco d'ora, e lo smarrito volto,
    com' amor vuol, cosi` le colorava.

    Poi ch'ell' avea 'l parlar cosi` disciolto,
    cominciava a cantar si`, che con pena
    da lei avrei mio intento rivolto.

    <>, cantava, < che' marinari in mezzo mar dismago;
    tanto son di piacere a sentir piena!

    Io volsi Ulisse del suo cammin vago
    al canto mio; e qual meco s'ausa,
    rado sen parte; si` tutto l'appago!>>.

    Ancor non era sua bocca richiusa,
    quand' una donna apparve santa e presta
    lunghesso me per far colei confusa.

    <>,
    fieramente dicea; ed el venia
    con li occhi fitti pur in quella onesta.

    L'altra prendea, e dinanzi l'apria
    fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;
    quel mi sveglio` col puzzo che n'uscia.

    Io mossi li occhi, e 'l buon maestro: < voci t'ho messe!>>, dicea, < troviam l'aperta per la qual tu entre>>.

    Su` mi levai, e tutti eran gia` pieni
    de l'alto di` i giron del sacro monte,
    e andavam col sol novo a le reni.

    Seguendo lui, portava la mia fronte
    come colui che l'ha di pensier carca,
    che fa di se' un mezzo arco di ponte;

    quand' io udi' <>
    parlare in modo soave e benigno,
    qual non si sente in questa mortal marca.

    Con l'ali aperte, che parean di cigno,
    volseci in su` colui che si` parlonne
    tra due pareti del duro macigno.

    Mosse le penne poi e ventilonne,
    'Qui lugent' affermando esser beati,
    ch'avran di consolar l'anime donne.

    <>,
    la guida mia incomincio` a dirmi,
    poco amendue da l'angel sormontati.

    E io: < novella visiion ch'a se' mi piega,
    si` ch'io non posso dal pensar partirmi>>.

    <>, disse, < che sola sovr' a noi omai si piagne;
    vedesti come l'uom da lei si slega.

    Bastiti, e batti a terra le calcagne;
    li occhi rivolgi al logoro che gira
    lo rege etterno con le rote magne>>.

    Quale 'l falcon, che prima a' pie' si mira,
    indi si volge al grido e si protende
    per lo disio del pasto che la` il tira,

    tal mi fec' io; e tal, quanto si fende
    la roccia per dar via a chi va suso,
    n'andai infin dove 'l cerchiar si prende.

    Com'io nel quinto giro fui dischiuso,
    vidi gente per esso che piangea,
    giacendo a terra tutta volta in giuso.

    'Adhaesit pavimento anima mea'
    sentia dir lor con si` alti sospiri,
    che la parola a pena s'intendea.

    < e giustizia e speranza fa men duri,
    drizzate noi verso li alti saliri>>.

    < e volete trovar la via piu` tosto,
    le vostre destre sien sempre di fori>>.

    Cosi` prego` 'l poeta, e si` risposto
    poco dinanzi a noi ne fu; per ch'io
    nel parlare avvisai l'altro nascosto,

    e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
    ond' elli m'assenti` con lieto cenno
    cio` che chiedea la vista del disio.

    Poi ch'io potei di me fare a mio senno,
    trassimi sovra quella creatura
    le cui parole pria notar mi fenno,

    dicendo: < quel sanza 'l quale a Dio tornar non possi,
    sosta un poco per me tua maggior cura.

    Chi fosti e perche' volti avete i dossi
    al su`, mi di`, e se vuo' ch'io t'impetri
    cosa di la` ond' io vivendo mossi>>.

    Ed elli a me: < rivolga il cielo a se', saprai; ma prima
    scias quod ego fui successor Petri.

    Intra Siiestri e Chiaveri s'adima
    una fiumana bella, e del suo nome
    lo titol del mio sangue fa sua cima.

    Un mese e` poco piu` prova' io come
    pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
    che piuma sembran tutte l'altre some.

    La mia conversiione, ome`!, fu tarda;
    ma, come fatto fui roman pastore,
    cosi` scopersi la vita bugiarda.

    Vidi che li` non s'acquetava il core,
    ne' piu` salir potiesi in quella vita;
    er che di questa in me s'accese amore.

    Fino a quel punto misera e partita
    da Dio anima fui, del tutto avara;
    or, come vedi, qui ne son punita.

    Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara
    in purgazion de l'anime converse;
    e nulla pena il monte ha piu` amara.

    Si` come l'occhio nostro non s'aderse
    in alto, fisso a le cose terrene,
    cosi` giustizia qui a terra il merse.

    Come avarizia spense a ciascun bene
    lo nostro amore, onde operar perdesi,
    cosi` giustizia qui stretti ne tene,

    ne' piedi e ne le man legati e presi;
    e quanto fia piacer del giusto Sire,
    tanto staremo immobili e distesi>>.

    Io m'era inginocchiato e volea dire;
    ma com' io cominciai ed el s'accorse,
    solo ascoltando, del mio reverire,

    <>, disse, <>.
    E io a lui: < mia cosciienza dritto mi rimorse>>.

    <>,
    rispuose; < teco e con li altri ad una podestate.

    Se mai quel santo evangelico suono
    che dice 'Neque nubent' intendesti,
    ben puoi veder perch'io cosi` ragiono.

    Vattene omai: non vo' che piu` t'arresti;
    che' la tua stanza mio pianger disagia,
    col qual maturo cio` che tu dicesti.

    Nepote ho io di la` c'ha nome Alagia,
    buona da se', pur che la nostra casa
    non faccia lei per essempro malvagia;

    e questa sola di la` m'e` rimasa>>.



    Purgatorio: Canto XX


    Contra miglior voler voler mal pugna;
    onde contra 'l piacer mio, per piacerli,
    trassi de l'acqua non sazia la spugna.

    Mossimi; e 'l duca mio si mosse per li
    luoghi spediti pur lungo la roccia,
    come si va per muro stretto a' merli;

    che' la gente che fonde a goccia a goccia
    per li occhi il mal che tutto 'l mondo occupa,
    da l'altra parte in fuor troppo s'approccia.

    Maladetta sie tu, antica lupa,
    che piu` che tutte l'altre bestie hai preda
    per la tua fame sanza fine cupa!

    O ciel, nel cui girar par che si creda
    le condizion di qua giu` trasmutarsi,
    quando verra` per cui questa disceda?

    Noi andavam con passi lenti e scarsi,
    e io attento a l'ombre, ch'i' sentia
    pietosamente piangere e lagnarsi;

    e per ventura udi' <>
    dinanzi a noi chiamar cosi` nel pianto
    come fa donna che in parturir sia;

    e seguitar: < quanto veder si puo` per quello ospizio
    dove sponesti il tuo portato santo>>.

    Seguentemente intesi: < con poverta` volesti anzi virtute
    che gran ricchezza posseder con vizio>>.

    Queste parole m'eran si` piaciute,
    ch'io mi trassi oltre per aver contezza
    di quello spirto onde parean venute.

    Esso parlava ancor de la larghezza
    che fece Niccolo` a le pulcelle,
    per condurre ad onor lor giovinezza.

    < dimmi chi fosti>>, dissi, < tu queste degne lode rinovelle.

    Non fia sanza merce' la tua parola,
    s'io ritorno a compier lo cammin corto
    di quella vita ch'al termine vola>>.

    Ed elli: < ch'io attenda di la`, ma perche' tanta
    grazia in te luce prima che sie morto.

    Io fui radice de la mala pianta
    che la terra cristiana tutta aduggia,
    si` che buon frutto rado se ne schianta.

    Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
    potesser, tosto ne saria vendetta;
    e io la cheggio a lui che tutto giuggia.

    Chiamato fui di la` Ugo Ciappetta;
    di me son nati i Filippi e i Luigi
    per cui novellamente e` Francia retta.

    Figliuol fu' io d'un beccaio di Parigi:
    quando li regi antichi venner meno
    tutti, fuor ch'un renduto in panni bigi,

    trova'mi stretto ne le mani il freno
    del governo del regno, e tanta possa
    di nuovo acquisto, e si` d'amici pieno,

    ch'a la corona vedova promossa
    la testa di mio figlio fu, dal quale
    cominciar di costor le sacrate ossa.

    Mentre che la gran dota provenzale
    al sangue mio non tolse la vergogna,
    poco valea, ma pur non facea male.

    Li` comincio` con forza e con menzogna
    la sua rapina; e poscia, per ammenda,
    Ponti` e Normandia prese e Guascogna.

    Carlo venne in Italia e, per ammenda,
    vittima fe' di Curradino; e poi
    ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.

    Tempo vegg'io, non molto dopo ancoi,
    che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
    per far conoscer meglio e se' e ' suoi.

    Sanz'arme n'esce e solo con la lancia
    con la qual giostro` Giuda, e quella ponta
    si` ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.

    Quindi non terra, ma peccato e onta
    guadagnera`, per se' tanto piu` grave,
    quanto piu` lieve simil danno conta.

    L'altro, che gia` usci` preso di nave,
    veggio vender sua figlia e patteggiarne
    come fanno i corsar de l'altre schiave.

    O avarizia, che puoi tu piu` farne,
    poscia c'ha' il mio sangue a te si` tratto,
    che non si cura de la propria carne?

    Perche' men paia il mal futuro e 'l fatto,
    veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
    e nel vicario suo Cristo esser catto.

    Veggiolo un'altra volta esser deriso;
    veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele,
    e tra vivi ladroni esser anciso.

    Veggio il novo Pilato si` crudele,
    che cio` nol sazia, ma sanza decreto
    portar nel Tempio le cupide vele.

    O Segnor mio, quando saro` io lieto
    a veder la vendetta che, nascosa,
    fa dolce l'ira tua nel tuo secreto?

    Cio` ch'io dicea di quell'unica sposa
    de lo Spirito Santo e che ti fece
    verso me volger per alcuna chiosa,

    tanto e` risposto a tutte nostre prece
    quanto 'l di` dura; ma com'el s'annotta,
    contrario suon prendemo in quella vece.

    Noi repetiam Pigmalion allotta,
    cui traditore e ladro e paricida
    fece la voglia sua de l'oro ghiotta;

    e la miseria de l'avaro Mida,
    che segui` a la sua dimanda gorda,
    per la qual sempre convien che si rida.

    Del folle Acan ciascun poi si ricorda,
    come furo` le spoglie, si` che l'ira
    di Iosue` qui par ch'ancor lo morda.

    Indi accusiam col marito Saffira;
    lodiam i calci ch'ebbe Eliodoro;
    e in infamia tutto 'l monte gira

    Polinestor ch'ancise Polidoro;
    ultimamente ci si grida: "Crasso,
    dilci, che 'l sai: di che sapore e` l'oro?".

    Talor parla l'uno alto e l'altro basso,
    secondo l'affezion ch'ad ir ci sprona
    ora a maggiore e ora a minor passo:

    pero` al ben che 'l di` ci si ragiona,
    dianzi non era io sol; ma qui da presso
    non alzava la voce altra persona>>.

    Noi eravam partiti gia` da esso,
    e brigavam di soverchiar la strada
    tanto quanto al poder n'era permesso,

    quand'io senti', come cosa che cada,
    tremar lo monte; onde mi prese un gelo
    qual prender suol colui ch'a morte vada.

    Certo non si scoteo si` forte Delo,
    pria che Latona in lei facesse 'l nido
    a parturir li due occhi del cielo.

    Poi comincio` da tutte parti un grido
    tal, che 'l maestro inverso me si feo,
    dicendo: <>.

    'Gloria in excelsis' tutti 'Deo'
    dicean, per quel ch'io da' vicin compresi,
    onde intender lo grido si poteo.

    No' istavamo immobili e sospesi
    come i pastor che prima udir quel canto,
    fin che 'l tremar cesso` ed el compiesi.

    Poi ripigliammo nostro cammin santo,
    guardando l'ombre che giacean per terra,
    tornate gia` in su l'usato pianto.

    Nulla ignoranza mai con tanta guerra
    mi fe' desideroso di sapere,
    se la memoria mia in cio` non erra,

    quanta pareami allor, pensando, avere;
    ne' per la fretta dimandare er'oso,
    ne' per me li` potea cosa vedere:

    cosi` m'andava timido e pensoso.



    Purgatorio: Canto XXI


    a sete natural che mai non sazia
    se non con l'acqua onde la femminetta
    samaritana domando` la grazia,

    mi travagliava, e pungeami la fretta
    per la 'mpacciata via dietro al mio duca,
    e condoleami a la giusta vendetta.

    Ed ecco, si` come ne scrive Luca
    che Cristo apparve a' due ch'erano in via,
    gia` surto fuor de la sepulcral buca,

    ci apparve un'ombra, e dietro a noi venia,
    dal pie` guardando la turba che giace;
    ne' ci addemmo di lei, si` parlo` pria,

    dicendo; <>.
    Noi ci volgemmo subiti, e Virgilio
    rendeli 'l cenno ch'a cio` si conface.

    Poi comincio`: < ti ponga in pace la verace corte
    che me rilega ne l'etterno essilio>>.

    <>, diss'elli, e parte andavam forte:
    < chi v'ha per la sua scala tanto scorte?>>.

    E 'l dottor mio: < che questi porta e che l'angel profila,
    ben vedrai che coi buon convien ch'e' regni.

    Ma perche' lei che di` e notte fila
    non li avea tratta ancora la conocchia
    che Cloto impone a ciascuno e compila,

    l'anima sua, ch'e` tua e mia serocchia,
    venendo su`, non potea venir sola,
    pero` ch'al nostro modo non adocchia.

    Ond'io fui tratto fuor de l'ampia gola
    d'inferno per mostrarli, e mosterrolli
    oltre, quanto 'l potra` menar mia scola.

    Ma dimmi, se tu sai, perche' tai crolli
    die` dianzi 'l monte, e perche' tutto ad una
    parve gridare infino a' suoi pie` molli>>.

    Si` mi die`, dimandando, per la cruna
    del mio disio, che pur con la speranza
    si fece la mia sete men digiuna.

    Quei comincio`: < ordine senta la religione
    de la montagna, o che sia fuor d'usanza.


     


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