Divina Commedia di Dante: Purgatorio
by
Dante Alighieri

Part 3 out of 4




Libero e` qui da ogne alterazione:
di quel che 'l ciel da se' in se' riceve
esser ci puote, e non d'altro, cagione.

Per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina piu` su` cade
che la scaletta di tre gradi breve;

nuvole spesse non paion ne' rade,
ne' coruscar, ne' figlia di Taumante,
che di la` cangia sovente contrade;

secco vapor non surge piu` avante
ch'al sommo d'i tre gradi ch'io parlai,
dov'ha 'l vicario di Pietro le piante.

Trema forse piu` giu` poco o assai;
ma per vento che 'n terra si nasconda,
non so come, qua su` non tremo` mai.

Tremaci quando alcuna anima monda
sentesi, si` che surga o che si mova
per salir su`; e tal grido seconda.

De la mondizia sol voler fa prova,
che, tutto libero a mutar convento,
l'alma sorprende, e di voler le giova.

Prima vuol ben, ma non lascia il talento
che divina giustizia, contra voglia,
come fu al peccar, pone al tormento.

E io, che son giaciuto a questa doglia
cinquecent'anni e piu`, pur mo sentii
libera volonta` di miglior soglia:

pero` sentisti il tremoto e li pii
spiriti per lo monte render lode
a quel Segnor, che tosto su` li 'nvii>>.

Cosi` ne disse; e pero` ch'el si gode
tanto del ber quant'e` grande la sete.
non saprei dir quant'el mi fece prode.

E 'l savio duca: < che qui v'impiglia e come si scalappia,
perche' ci trema e di che congaudete.

Ora chi fosti, piacciati ch'io sappia,
e perche' tanti secoli giaciuto
qui se', ne le parole tue mi cappia>>.

< del sommo rege, vendico` le fora
ond'usci` 'l sangue per Giuda venduto,

col nome che piu` dura e piu` onora
era io di la`>>, rispuose quello spirto,
<
Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a se' mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto.

Stazio la gente ancor di la` mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma.

Al mio ardor fuor seme le faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati piu` di mille;

de l'Eneida dico, la qual mamma
fummi e fummi nutrice poetando:
sanz'essa non fermai peso di dramma.

E per esser vivuto di la` quando
visse Virgilio, assentirei un sole
piu` che non deggio al mio uscir di bando>>.

Volser Virgilio a me queste parole
con viso che, tacendo, disse 'Taci';
ma non puo` tutto la virtu` che vuole;

che' riso e pianto son tanto seguaci
a la passion di che ciascun si spicca,
che men seguon voler ne' piu` veraci.

Io pur sorrisi come l'uom ch'ammicca;
per che l'ombra si tacque, e riguardommi
ne li occhi ove 'l sembiante piu` si ficca;

e <>,
disse, < un lampeggiar di riso dimostrommi?>>.

Or son io d'una parte e d'altra preso:
l'una mi fa tacer, l'altra scongiura
ch'io dica; ond'io sospiro, e sono inteso

dal mio maestro, e <>,
mi dice, < quel ch'e' dimanda con cotanta cura>>.

Ond'io: < antico spirto, del rider ch'io fei;
ma piu` d'ammirazion vo' che ti pigli.

Questi che guida in alto li occhi miei,
e` quel Virgilio dal qual tu togliesti
forza a cantar de li uomini e d'i dei.

Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti>>.

Gia` s'inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: < non far, che' tu se' ombra e ombra vedi>>.

Ed ei surgendo: < comprender de l'amor ch'a te mi scalda,
quand'io dismento nostra vanitate,

trattando l'ombre come cosa salda>>.



Purgatorio: Canto XXII


Gia` era l'angel dietro a noi rimaso,
l'angel che n'avea volti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;

e quei c'hanno a giustizia lor disiro
detto n'avea beati, e le sue voci
con 'sitiunt', sanz'altro, cio` forniro.

E io piu` lieve che per l'altre foci
m'andava, si` che sanz'alcun labore
seguiva in su` li spiriti veloci;

quando Virgilio incomincio`: < acceso di virtu`, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore;

onde da l'ora che tra noi discese
nel limbo de lo 'nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fe' palese,

mia benvoglienza inverso te fu quale
piu` strinse mai di non vista persona,
si` ch'or mi parran corte queste scale.

Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurta` m'allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona:

come pote' trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?>>.

Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
<
Veramente piu` volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose.

La tua dimanda tuo creder m'avvera
esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita,
forse per quella cerchia dov'io era.

Or sappi ch'avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita.

E se non fosse ch'io drizzai mia cura,
quand'io intesi la` dove tu chiame,
crucciato quasi a l'umana natura:

'Per che non reggi tu, o sacra fame
de l'oro, l'appetito de' mortali?',
voltando sentirei le giostre grame.

Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
potean le mani a spendere, e pente'mi
cosi` di quel come de li altri mali.

Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie 'l penter vivendo e ne li stremi!

E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca;

pero`, s'io son tra quella gente stato
che piange l'avarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo m'e` incontrato>>.

< de la doppia trestizia di Giocasta>>,
disse 'l cantor de' buccolici carmi,

< non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta.

Se cosi` e`, qual sole o quai candele
ti stenebraron si`, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?>>.

Ed elli a lui: < verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m'alluminasti.

Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e se' non giova,
ma dopo se' fa le persone dotte,

quando dicesti: 'Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova'.

Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perche' veggi mei cio` ch'io disegno,
a colorare stendero` la mano:

Gia` era 'l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l'etterno regno;

e la parola tua sopra toccata
si consonava a' nuovi predicanti;
ond'io a visitarli presi usata.

Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;

e mentre che di la` per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.

E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi
di Tebe poetando, ebb'io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu'mi,

lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fe' piu` che 'l quarto centesmo.

Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m'ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio,

dimmi dov'e` Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico>>.

<>,
rispuose il duca mio, < che le Muse lattar piu` ch'altri mai,

nel primo cinghio del carcere cieco:
spesse fiate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco.

Euripide v'e` nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piue
Greci che gia` di lauro ornar la fronte.

Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deifile e Argia,
e Ismene si` trista come fue.

Vedeisi quella che mostro` Langia;
evvi la figlia di Tiresia, e Teti
e con le suore sue Deidamia>>.

Tacevansi ambedue gia` li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;

e gia` le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in su` l'ardente corno,

quando il mio duca: < le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo>>.

Cosi` l'usanza fu li` nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l'assentir di quell'anima degna.

Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch'a poetar mi davano intelletto.

Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;

e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, cosi` quello in giuso,
cred'io, perche' persona su` non vada.

Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,
cadea de l'alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.

Li due poeti a l'alber s'appressaro;
e una voce per entro le fronde
grido`: <>.

Poi disse: < fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.

E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d'acqua; e Daniello
dispregio` cibo e acquisto` savere.

Lo secol primo, quant'oro fu bello,
fe' savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello.

Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch'elli e` glorioso e tanto grande

quanto per lo Vangelio v'e` aperto>>.



Purgatorio: Canto XXIII


Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io si` come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,

lo piu` che padre mi dicea: < vienne oramai, che' 'l tempo che n'e` imposto
piu` utilmente compartir si vuole>>.

Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sie,
che l'andar mi facean di nullo costo.

Ed ecco piangere e cantar s'udie
'Labia mea, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturie.

<>,
comincia' io; ed elli: < forse di lor dover solvendo il nodo>>.

Si` come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,

cosi` di retro a noi, piu` tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d'anime turba tacita e devota.

Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema,
che da l'ossa la pelle s'informava.

Non credo che cosi` a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando piu` n'ebbe tema.

Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perde' Ierusalemme,
quando Maria nel figlio die` di becco!'

Parean l'occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge 'omo'
ben avria quivi conosciuta l'emme.

Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
si` governasse, generando brama,
e quel d'un'acqua, non sappiendo como?

Gia` era in ammirar che si` li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,

ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un'ombra e guardo` fiso;
poi grido` forte: <>.

Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
cio` che l'aspetto in se' avea conquiso.

Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.

< che mi scolora>>, pregava, < ne' a difetto di carne ch'io abbia;

ma dimmi il ver di te, di' chi son quelle
due anime che la` ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!>>.

< mi da` di pianger mo non minor doglia>>,
rispuos'io lui, <
Pero` mi di`, per Dio, che si` vi sfoglia;
non mi far dir mentr'io mi maraviglio,
che' mal puo` dir chi e` pien d'altra voglia>>.

Ed elli a me: < cade vertu` ne l'acqua e ne la pianta
rimasa dietro ond'io si` m'assottiglio.

Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e 'n sete qui si rifa` santa.

Di bere e di mangiar n'accende cura
l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura.

E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovria dir sollazzo,

che' quella voglia a li alberi ci mena
che meno` Cristo lieto a dire 'Eli`',
quando ne libero` con la sua vena>>.

E io a lui: < nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinq'anni non son volti infino a qui.

Se prima fu la possa in te finita
di peccar piu`, che sovvenisse l'ora
del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,

come se' tu qua su` venuto ancora?
Io ti credea trovar la` giu` di sotto
dove tempo per tempo si ristora>>.

Ond'elli a me: < a ber lo dolce assenzo d'i martiri
la Nella mia con suo pianger dirotto.

Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m'ha de la costa ove s'aspetta,
e liberato m'ha de li altri giri.

Tanto e` a Dio piu` cara e piu` diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare e` piu` soletta;

che' la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue piu` e` pudica
che la Barbagia dov'io la lasciai.

O dolce frate, che vuo' tu ch'io dica?
Tempo futuro m'e` gia` nel cospetto,
cui non sara` quest'ora molto antica,

nel qual sara` in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l'andar mostrando con le poppe il petto.

Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline?

Ma se le svergognate fosser certe
di quel che 'l ciel veloce loro ammanna,
gia` per urlare avrian le bocche aperte;

che' se l'antiveder qui non m'inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna.

Deh, frate, or fa che piu` non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira la` dove 'l sol veli>>.

Per ch'io a lui: < qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.

Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda
vi si mostro` la suora di colui>>,

e 'l sol mostrai; < notte menato m'ha d'i veri morti
con questa vera carne che 'l seconda.

Indi m'han tratto su` li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che 'l mondo fece torti.

Tanto dice di farmi sua compagna,
che io saro` la` dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna.

Virgilio e` questi che cosi` mi dice>>,
e addita'lo; < per cui scosse dianzi ogne pendice

lo vostro regno, che da se' lo sgombra>>.



Purgatorio: Canto XXIV


Ne' 'l dir l'andar, ne' l'andar lui piu` lento
facea, ma ragionando andavam forte,
si` come nave pinta da buon vento;

e l'ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte.

E io, continuando al mio sermone,
dissi: < che non farebbe, per altrui cagione.

Ma dimmi, se tu sai, dov'e` Piccarda;
dimmi s'io veggio da notar persona
tra questa gente che si` mi riguarda>>.

< non so qual fosse piu`, triunfa lieta
ne l'alto Olimpo gia` di sua corona>>.

Si` disse prima; e poi: < di nominar ciascun, da ch'e` si` munta
nostra sembianza via per la dieta.

Questi>>, e mostro` col dito, < Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di la` da lui piu` che l'altre trapunta

ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l'anguille di Bolsena e la vernaccia>>.

Molti altri mi nomo` ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
si` ch'io pero` non vidi un atto bruno.

Vidi per fame a voto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturo` col rocco molte genti.

Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio
gia` di bere a Forli` con men secchezza,
e si` fu tal, che non si senti` sazio.

Ma come fa chi guarda e poi s'apprezza
piu` d'un che d'altro, fei a quel da Lucca,
che piu` parea di me aver contezza.

El mormorava; e non so che <>
sentiv'io la`, ov'el sentia la piaga
de la giustizia che si` li pilucca.

<>, diss'io, < di parlar meco, fa si` ch'io t'intenda,
e te e me col tuo parlare appaga>>.

<>,
comincio` el, < la mia citta`, come ch'om la riprenda.

Tu te n'andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere.

Ma di` s'i' veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
'Donne ch'avete intelletto d'amore'>>.

E io a lui: < Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando>>.

<>, diss'elli, < che 'l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!

Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;

e qual piu` a gradire oltre si mette,
non vede piu` da l'uno a l'altro stilo>>;
e, quasi contentato, si tacette.

Come li augei che vernan lungo 'l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan piu` a fretta e vanno in filo,

cosi` tutta la gente che li` era,
volgendo 'l viso, raffretto` suo passo,
e per magrezza e per voler leggera.

E come l'uom che di trottare e` lasso,
lascia andar li compagni, e si` passeggia
fin che si sfoghi l'affollar del casso,

si` lascio` trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: <>.

<>, rispuos'io lui, < ma gia` non fia il tornar mio tantosto,
ch'io non sia col voler prima a la riva;

pero` che 'l loco u' fui a viver posto,
di giorno in giorno piu` di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto>>.

<>, diss'el; < vegg'io a coda d'una bestia tratto
inver' la valle ove mai non si scolpa.

La bestia ad ogne passo va piu` ratto,
crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto.

Non hanno molto a volger quelle ruote>>,
e drizzo` li ochi al ciel, < cio` che 'l mio dir piu` dichiarar non puote.

Tu ti rimani omai; che' 'l tempo e` caro
in questo regno, si` ch'io perdo troppo
venendo teco si` a paro a paro>>.

Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo,

tal si parti` da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo si` gran marescalchi.

E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue,

parvermi i rami gravidi e vivaci
d'un altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora volto in laci.

Vidi gente sott'esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani,

che pregano, e 'l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde.

Poi si parti` si` come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta.

< legno e` piu` su` che fu morso da Eva,
e questa pianta si levo` da esso>>.

Si` tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva.

<>, dicea, < nei nuvoli formati, che, satolli,
Teseo combatter co' doppi petti;

e de li Ebrei ch'al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver' Madian discese i colli>>.

Si` accostati a l'un d'i due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite gia` da miseri guadagni.

Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e piu` ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola.

<>.
subita voce disse; ond'io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre.

Drizzai la testa per veder chi fossi;
e gia` mai non si videro in fornace
vetri o metalli si` lucenti e rossi,

com'io vidi un che dicea: < montare in su`, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace>>.

L'aspetto suo m'avea la vista tolta;
per ch'io mi volsi dietro a' miei dottori,
com'om che va secondo ch'elli ascolta.

E quale, annunziatrice de li albori,
l'aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l'erba e da' fiori;

tal mi senti' un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti' mover la piuma,
che fe' sentir d'ambrosia l'orezza.

E senti' dir: < tanto di grazia, che l'amor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma,

esuriendo sempre quanto e` giusto!>>.



Purgatorio: Canto XXV


Ora era onde 'l salir non volea storpio;
che' 'l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:

per che, come fa l'uom che non s'affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge,

cosi` intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia.

E quale il cicognin che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
d'abbandonar lo nido, e giu` la cala;

tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l'atto
che fa colui ch'a dicer s'argomenta.

Non lascio`, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: < l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto>>.

Allor sicuramente apri' la bocca
e cominciai: < la` dove l'uopo di nodrir non tocca?>>.

< si consumo` al consumar d'un stizzo,
non fora>>, disse, <
e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
cio` che par duro ti parrebbe vizzo.

Ma perche' dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage>>.

<>,
rispuose Stazio, < discolpi me non potert'io far nego>>.

Poi comincio`: < figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die.

Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,

prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane.

Ancor digesto, scende ov'e` piu` bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr'altrui sangue in natural vasello.

Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme;

e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
cio` che per sua matera fe' constare.

Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa e` in via e quella e` gia` a riva,

tanto ovra poi, che gia` si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond'e` semente.

Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtu` ch'e` dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende.

Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest'e` tal punto,
che piu` savio di te fe' gia` errante,

si` che per sua dottrina fe' disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perche' da lui non vide organo assunto.

Apri a la verita` che viene il petto;
e sappi che, si` tosto come al feto
l'articular del cerebro e` perfetto,

lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant'arte di natura, e spira
spirito novo, di vertu` repleto,

che cio` che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e se' in se' rigira.

E perche' meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola.

Quando Lachesis non ha piu` del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino:

l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto piu` che prima agute.

Sanza restarsi per se' stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade.

Tosto che loco li` la circunscrive,
la virtu` formativa raggia intorno
cosi` e quanto ne le membra vive.

E come l'aere, quand'e` ben piorno,
per l'altrui raggio che 'n se' si reflette,
di diversi color diventa addorno;

cosi` l'aere vicin quivi si mette
in quella forma ch'e` in lui suggella
virtualmente l'alma che ristette;

e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco la` 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.

Pero` che quindi ha poscia sua paruta,
e` chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.

Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.

Secondo che ci affiggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest'e` la cagion di che tu miri>>.

E gia` venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e volto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura.

Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra;

ond'ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso.

Lo duca mio dicea: < si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
pero` ch'errar potrebbesi per poco>>.

'Summae Deus clementiae' nel seno
al grande ardore allora udi' cantando,
che di volger mi fe' caler non meno;

e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava a loro e a' miei passi
compartendo la vista a quando a quando.

Appresso il fine ch'a quell'inno fassi,
gridavano alto: 'Virum non cognosco';
indi ricominciavan l'inno bassi.

Finitolo, anco gridavano: < si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tosco>>.

Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne.

E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti

che la piaga da sezzo si ricuscia.



Purgatorio: Canto XXVI


Mentre che si` per l'orlo, uno innanzi altro,
ce n'andavamo, e spesso il buon maestro
diceami: <>;

feriami il sole in su l'omero destro,
che gia`, raggiando, tutto l'occidente
mutava in bianco aspetto di cilestro;

e io facea con l'ombra piu` rovente
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
vidi molt'ombre, andando, poner mente.

Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
a dir: <>;

poi verso me, quanto potean farsi,
certi si fero, sempre con riguardo
di non uscir dove non fosser arsi.

< ma forse reverente, a li altri dopo,
rispondi a me che 'n sete e 'n foco ardo.

Ne' solo a me la tua risposta e` uopo;
che' tutti questi n'hanno maggior sete
che d'acqua fredda Indo o Etiopo.

Dinne com'e` che fai di te parete
al sol, pur come tu non fossi ancora
di morte intrato dentro da la rete>>.

Si` mi parlava un d'essi; e io mi fora
gia` manifesto, s'io non fossi atteso
ad altra novita` ch'apparve allora;

che' per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso.

Li` veggio d'ogne parte farsi presta
ciascun'ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa;

cosi` per entro loro schiera bruna
s'ammusa l'una con l'altra formica,
forse a spiar lor via e lor fortuna.

Tosto che parton l'accoglienza amica,
prima che 'l primo passo li` trascorra,
sopragridar ciascuna s'affatica:

la nova gente: <>;
e l'altra: < perche' 'l torello a sua lussuria corra>>.

Poi, come grue ch'a le montagne Rife
volasser parte, e parte inver' l'arene,
queste del gel, quelle del sole schife,

l'una gente sen va, l'altra sen vene;
e tornan, lagrimando, a' primi canti
e al gridar che piu` lor si convene;

e raccostansi a me, come davanti,
essi medesmi che m'avean pregato,
attenti ad ascoltar ne' lor sembianti.

Io, che due volte avea visto lor grato,
incominciai: < d'aver, quando che sia, di pace stato,

non son rimase acerbe ne' mature
le membra mie di la`, ma son qui meco
col sangue suo e con le sue giunture.

Quinci su` vo per non esser piu` cieco;
donna e` di sopra che m'acquista grazia,
per che 'l mortal per vostro mondo reco.

Ma se la vostra maggior voglia sazia
tosto divegna, si` che 'l ciel v'alberghi
ch'e` pien d'amore e piu` ampio si spazia,

ditemi, accio` ch'ancor carte ne verghi,
chi siete voi, e chi e` quella turba
che se ne va di retro a' vostri terghi>>.

Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro, e rimirando ammuta,
quando rozzo e salvatico s'inurba,

che ciascun'ombra fece in sua paruta;
ma poi che furon di stupore scarche,
lo qual ne li alti cuor tosto s'attuta,

<>,
ricomincio` colei che pria m'inchiese,
<
La gente che non vien con noi, offese
di cio` per che gia` Cesar, triunfando,
"Regina" contra se' chiamar s'intese:

pero` si parton 'Soddoma' gridando,
rimproverando a se', com'hai udito,
e aiutan l'arsura vergognando.

Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perche' non servammo umana legge,
seguendo come bestie l'appetito,

in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che s'imbestio` ne le 'mbestiate schegge.

Or sai nostri atti e di che fummo rei:
se forse a nome vuo' saper chi semo,
tempo non e` di dire, e non saprei.

Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizzelli; e gia` mi purgo
per ben dolermi prima ch'a lo stremo>>.

Quali ne la tristizia di Ligurgo
si fer due figli a riveder la madre,
tal mi fec'io, ma non a tanto insurgo,

quand'io odo nomar se' stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d'amore usar dolci e leggiadre;

e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fiata rimirando lui,
ne', per lo foco, in la` piu` m'appressai.

Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m'offersi pronto al suo servigio
con l'affermar che fa credere altrui.

Ed elli a me: < per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro,
che Lete' nol puo` torre ne' far bigio.

Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che e` cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar d'avermi caro>>.

E io a lui: <
  • che, quanto durera` l'uso moderno,
    faranno cari ancora i loro incostri>>.

    <>, disse, < col dito>>, e addito` un spirto innanzi,
    <
    Versi d'amore e prose di romanzi
    soverchio` tutti; e lascia dir li stolti
    che quel di Lemosi` credon ch'avanzi.

    A voce piu` ch'al ver drizzan li volti,
    e cosi` ferman sua oppinione
    prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti.

    Cosi` fer molti antichi di Guittone,
    di grido in grido pur lui dando pregio,
    fin che l'ha vinto il ver con piu` persone.

    Or se tu hai si` ampio privilegio,
    che licito ti sia l'andare al chiostro
    nel quale e` Cristo abate del collegio,

    falli per me un dir d'un paternostro,
    quanto bisogna a noi di questo mondo,
    dove poter peccar non e` piu` nostro>>.

    Poi, forse per dar luogo altrui secondo
    che presso avea, disparve per lo foco,
    come per l'acqua il pesce andando al fondo.

    Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
    e dissi ch'al suo nome il mio disire
    apparecchiava grazioso loco.

    El comincio` liberamente a dire:
    < qu'ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.

    Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
    consiros vei la passada folor,
    e vei jausen lo joi qu'esper, denan.

    Ara vos prec, per aquella valor
    que vos guida al som de l'escalina,
    sovenha vos a temps de ma dolor!>>.

    Poi s'ascose nel foco che li affina.



    Purgatorio: Canto XXVII


    Si` come quando i primi raggi vibra
    la` dove il suo fattor lo sangue sparse,
    cadendo Ibero sotto l'alta Libra,

    e l'onde in Gange da nona riarse,
    si` stava il sole; onde 'l giorno sen giva,
    come l'angel di Dio lieto ci apparse.

    Fuor de la fiamma stava in su la riva,
    e cantava 'Beati mundo corde!'.
    in voce assai piu` che la nostra viva.

    Poscia < anime sante, il foco: intrate in esso,
    e al cantar di la` non siate sorde>>,

    ci disse come noi li fummo presso;
    per ch'io divenni tal, quando lo 'ntesi,
    qual e` colui che ne la fossa e` messo.

    In su le man commesse mi protesi,
    guardando il foco e imaginando forte
    umani corpi gia` veduti accesi.

    Volsersi verso me le buone scorte;
    e Virgilio mi disse: < qui puo` esser tormento, ma non morte.

    Ricorditi, ricorditi! E se io
    sovresso Gerion ti guidai salvo,
    che faro` ora presso piu` a Dio?

    Credi per certo che se dentro a l'alvo
    di questa fiamma stessi ben mille anni,
    non ti potrebbe far d'un capel calvo.

    E se tu forse credi ch'io t'inganni,
    fatti ver lei, e fatti far credenza
    con le tue mani al lembo d'i tuoi panni.

    Pon giu` omai, pon giu` ogni temenza;
    volgiti in qua e vieni: entra sicuro!>>.
    E io pur fermo e contra coscienza.

    Quando mi vide star pur fermo e duro,
    turbato un poco disse: < tra Beatrice e te e` questo muro>>.

    Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
    Piramo in su la morte, e riguardolla,
    allor che 'l gelso divento` vermiglio;

    cosi`, la mia durezza fatta solla,
    mi volsi al savio duca, udendo il nome
    che ne la mente sempre mi rampolla.

    Ond'ei crollo` la fronte e disse: < volenci star di qua?>>; indi sorrise
    come al fanciul si fa ch'e` vinto al pome.

    Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
    pregando Stazio che venisse retro,
    che pria per lunga strada ci divise.

    Si` com'fui dentro, in un bogliente vetro
    gittato mi sarei per rinfrescarmi,
    tant'era ivi lo 'ncendio sanza metro.

    Lo dolce padre mio, per confortarmi,
    pur di Beatrice ragionando andava,
    dicendo: <
  • >.

    Guidavaci una voce che cantava
    di la`; e noi, attenti pur a lei,
    venimmo fuor la` ove si montava.

    'Venite, benedicti Patris mei',
    sono` dentro a un lume che li` era,
    tal che mi vinse e guardar nol potei.

    <>, soggiunse, < non v'arrestate, ma studiate il passo,
    mentre che l'occidente non si annera>>.

    Dritta salia la via per entro 'l sasso
    verso tal parte ch'io toglieva i raggi
    dinanzi a me del sol ch'era gia` basso.

    E di pochi scaglion levammo i saggi,
    che 'l sol corcar, per l'ombra che si spense,
    sentimmo dietro e io e li miei saggi.

    E pria che 'n tutte le sue parti immense
    fosse orizzonte fatto d'uno aspetto,
    e notte avesse tutte sue dispense,

    ciascun di noi d'un grado fece letto;
    che' la natura del monte ci affranse
    la possa del salir piu` e 'l diletto.

    Quali si stanno ruminando manse
    le capre, state rapide e proterve
    sovra le cime avante che sien pranse,

    tacite a l'ombra, mentre che 'l sol ferve,
    guardate dal pastor, che 'n su la verga
    poggiato s'e` e lor di posa serve;

    e quale il mandrian che fori alberga,
    lungo il pecuglio suo queto pernotta,
    guardando perche' fiera non lo sperga;

    tali eravamo tutti e tre allotta,
    io come capra, ed ei come pastori,
    fasciati quinci e quindi d'alta grotta.

    Poco parer potea li` del di fori;
    ma, per quel poco, vedea io le stelle
    di lor solere e piu` chiare e maggiori.

    Si` ruminando e si` mirando in quelle,
    mi prese il sonno; il sonno che sovente,
    anzi che 'l fatto sia, sa le novelle.

    Ne l'ora, credo, che de l'oriente,
    prima raggio` nel monte Citerea,
    che di foco d'amor par sempre ardente,

    giovane e bella in sogno mi parea
    donna vedere andar per una landa
    cogliendo fiori; e cantando dicea:

    < ch'i' mi son Lia, e vo movendo intorno
    le belle mani a farmi una ghirlanda.

    Per piacermi a lo specchio, qui m'addorno;
    ma mia suora Rachel mai non si smaga
    dal suo miraglio, e siede tutto giorno.

    Ell'e` d'i suoi belli occhi veder vaga
    com'io de l'addornarmi con le mani;
    lei lo vedere, e me l'ovrare appaga>>.

    E gia` per li splendori antelucani,
    che tanto a' pellegrin surgon piu` grati,
    quanto, tornando, albergan men lontani,

    le tenebre fuggian da tutti lati,
    e 'l sonno mio con esse; ond'io leva'mi,
    veggendo i gran maestri gia` levati.

    < cercando va la cura de' mortali,
    oggi porra` in pace le tue fami>>.

    Virgilio inverso me queste cotali
    parole uso`; e mai non furo strenne
    che fosser di piacere a queste iguali.

    Tanto voler sopra voler mi venne
    de l'esser su`, ch'ad ogne passo poi
    al volo mi sentia crescer le penne.

    Come la scala tutta sotto noi
    fu corsa e fummo in su 'l grado superno,
    in me ficco` Virgilio li occhi suoi,

    e disse: < veduto hai, figlio; e se' venuto in parte
    dov'io per me piu` oltre non discerno.

    Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
    lo tuo piacere omai prendi per duce;
    fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

    Vedi lo sol che 'n fronte ti riluce;
    vedi l'erbette, i fiori e li arbuscelli
    che qui la terra sol da se' produce.

    Mentre che vegnan lieti li occhi belli
    che, lagrimando, a te venir mi fenno,
    seder ti puoi e puoi andar tra elli.

    Non aspettar mio dir piu` ne' mio cenno;
    libero, dritto e sano e` tuo arbitrio,
    e fallo fora non fare a suo senno:

    per ch'io te sovra te corono e mitrio>>.



    Purgatorio: Canto XXVIII


    Vago gia` di cercar dentro e dintorno
    la divina foresta spessa e viva,
    ch'a li occhi temperava il novo giorno,

    sanza piu` aspettar, lasciai la riva,
    prendendo la campagna lento lento
    su per lo suol che d'ogne parte auliva.

    Un'aura dolce, sanza mutamento
    avere in se', mi feria per la fronte
    non di piu` colpo che soave vento;

    per cui le fronde, tremolando, pronte
    tutte quante piegavano a la parte
    u' la prim'ombra gitta il santo monte;

    non pero` dal loro esser dritto sparte
    tanto, che li augelletti per le cime
    lasciasser d'operare ogne lor arte;

    ma con piena letizia l'ore prime,
    cantando, ricevieno intra le foglie,
    che tenevan bordone a le sue rime,

    tal qual di ramo in ramo si raccoglie
    per la pineta in su 'l lito di Chiassi,
    quand'Eolo scilocco fuor discioglie.

    Gia` m'avean trasportato i lenti passi
    dentro a la selva antica tanto, ch'io
    non potea rivedere ond'io mi 'ntrassi;

    ed ecco piu` andar mi tolse un rio,
    che 'nver' sinistra con sue picciole onde
    piegava l'erba che 'n sua ripa uscio.

    Tutte l'acque che son di qua piu` monde,
    parrieno avere in se' mistura alcuna,
    verso di quella, che nulla nasconde,

    avvegna che si mova bruna bruna
    sotto l'ombra perpetua, che mai
    raggiar non lascia sole ivi ne' luna.

    Coi pie` ristretti e con li occhi passai
    di la` dal fiumicello, per mirare
    la gran variazion d'i freschi mai;

    e la` m'apparve, si` com'elli appare
    subitamente cosa che disvia
    per maraviglia tutto altro pensare,

    una donna soletta che si gia
    e cantando e scegliendo fior da fiore
    ond'era pinta tutta la sua via.

    < ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti
    che soglion esser testimon del core,

    vegnati in voglia di trarreti avanti>>,
    diss'io a lei, < tanto ch'io possa intender che tu canti.

    Tu mi fai rimembrar dove e qual era
    Proserpina nel tempo che perdette
    la madre lei, ed ella primavera>>.

    Come si volge, con le piante strette
    a terra e intra se', donna che balli,
    e piede innanzi piede a pena mette,

    volsesi in su i vermigli e in su i gialli
    fioretti verso me, non altrimenti
    che vergine che li occhi onesti avvalli;

    e fece i prieghi miei esser contenti,
    si` appressando se', che 'l dolce suono
    veniva a me co' suoi intendimenti.

    Tosto che fu la` dove l'erbe sono
    bagnate gia` da l'onde del bel fiume,
    di levar li occhi suoi mi fece dono.

    Non credo che splendesse tanto lume
    sotto le ciglia a Venere, trafitta
    dal figlio fuor di tutto suo costume.

    Ella ridea da l'altra riva dritta,
    trattando piu` color con le sue mani,
    che l'alta terra sanza seme gitta.

    Tre passi ci facea il fiume lontani;
    ma Elesponto, la` 've passo` Serse,
    ancora freno a tutti orgogli umani,

    piu` odio da Leandro non sofferse
    per mareggiare intra Sesto e Abido,
    che quel da me perch'allor non s'aperse.

    <>,
    comincio` ella, < a l'umana natura per suo nido,

    maravigliando tienvi alcun sospetto;
    ma luce rende il salmo Delectasti,
    che puote disnebbiar vostro intelletto.

    E tu che se' dinanzi e mi pregasti,
    di` s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta
    ad ogne tua question tanto che basti>>.

    <>, diss'io, < impugnan dentro a me novella fede
    di cosa ch'io udi' contraria a questa>>.

    Ond'ella: < per sua cagion cio` ch'ammirar ti face,
    e purghero` la nebbia che ti fiede.

    Lo sommo Ben, che solo esso a se' piace,
    fe' l'uom buono e a bene, e questo loco
    diede per arr'a lui d'etterna pace.

    Per sua difalta qui dimoro` poco;
    per sua difalta in pianto e in affanno
    cambio` onesto riso e dolce gioco.

    Perche' 'l turbar che sotto da se' fanno
    l'essalazion de l'acqua e de la terra,
    che quanto posson dietro al calor vanno,

    a l'uomo non facesse alcuna guerra,
    questo monte salio verso 'l ciel tanto,
    e libero n'e` d'indi ove si serra.

    Or perche' in circuito tutto quanto
    l'aere si volge con la prima volta,
    se non li e` rotto il cerchio d'alcun canto,

    in questa altezza ch'e` tutta disciolta
    ne l'aere vivo, tal moto percuote,
    e fa sonar la selva perch'e` folta;

    e la percossa pianta tanto puote,
    che de la sua virtute l'aura impregna,
    e quella poi, girando, intorno scuote;

    e l'altra terra, secondo ch'e` degna
    per se' e per suo ciel, concepe e figlia
    di diverse virtu` diverse legna.

    Non parrebbe di la` poi maraviglia,
    udito questo, quando alcuna pianta
    sanza seme palese vi s'appiglia.

    E saper dei che la campagna santa
    dove tu se', d'ogne semenza e` piena,
    e frutto ha in se' che di la` non si schianta.

    L'acqua che vedi non surge di vena
    che ristori vapor che gel converta,
    come fiume ch'acquista e perde lena;

    ma esce di fontana salda e certa,
    che tanto dal voler di Dio riprende,
    quant'ella versa da due parti aperta.

    Da questa parte con virtu` discende
    che toglie altrui memoria del peccato;
    da l'altra d'ogne ben fatto la rende.

    Quinci Lete`; cosi` da l'altro lato
    Eunoe` si chiama, e non adopra
    se quinci e quindi pria non e` gustato:

    a tutti altri sapori esto e` di sopra.
    E avvegna ch'assai possa esser sazia
    la sete tua perch'io piu` non ti scuopra,

    darotti un corollario ancor per grazia;
    ne' credo che 'l mio dir ti sia men caro,
    se oltre promession teco si spazia.

    Quelli ch'anticamente poetaro
    l'eta` de l'oro e suo stato felice,
    forse in Parnaso esto loco sognaro.

    Qui fu innocente l'umana radice;
    qui primavera sempre e ogne frutto;
    nettare e` questo di che ciascun dice>>.

    Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto
    a' miei poeti, e vidi che con riso
    udito avean l'ultimo costrutto;

    poi a la bella donna torna' il viso.



    Purgatorio: Canto XXIX


    Cantando come donna innamorata,
    continuo` col fin di sue parole:
    'Beati quorum tecta sunt peccata!'.

    E come ninfe che si givan sole
    per le salvatiche ombre, disiando
    qual di veder, qual di fuggir lo sole,

    allor si mosse contra 'l fiume, andando
    su per la riva; e io pari di lei,
    picciol passo con picciol seguitando.

    Non eran cento tra ' suoi passi e ' miei,
    quando le ripe igualmente dier volta,
    per modo ch'a levante mi rendei.

    Ne' ancor fu cosi` nostra via molta,
    quando la donna tutta a me si torse,
    dicendo: <>.

    Ed ecco un lustro subito trascorse
    da tutte parti per la gran foresta,
    tal che di balenar mi mise in forse.

    Ma perche' 'l balenar, come vien, resta,
    e quel, durando, piu` e piu` splendeva,
    nel mio pensier dicea: 'Che cosa e` questa?'.

    E una melodia dolce correva
    per l'aere luminoso; onde buon zelo
    mi fe' riprender l'ardimento d'Eva,

    che la` dove ubidia la terra e 'l cielo,
    femmina, sola e pur teste' formata,
    non sofferse di star sotto alcun velo;

    sotto 'l qual se divota fosse stata,
    avrei quelle ineffabili delizie
    sentite prima e piu` lunga fiata.

    Mentr'io m'andava tra tante primizie
    de l'etterno piacer tutto sospeso,
    e disioso ancora a piu` letizie,

    dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,
    ci si fe' l'aere sotto i verdi rami;
    e 'l dolce suon per canti era gia` inteso.

    O sacrosante Vergini, se fami,
    freddi o vigilie mai per voi soffersi,
    cagion mi sprona ch'io merce' vi chiami.

    Or convien che Elicona per me versi,
    e Uranie m'aiuti col suo coro
    forti cose a pensar mettere in versi.

    Poco piu` oltre, sette alberi d'oro
    falsava nel parere il lungo tratto
    del mezzo ch'era ancor tra noi e loro;

    ma quand'i' fui si` presso di lor fatto,
    che l'obietto comun, che 'l senso inganna,
    non perdea per distanza alcun suo atto,

    la virtu` ch'a ragion discorso ammanna,
    si` com'elli eran candelabri apprese,
    e ne le voci del cantare 'Osanna'.

    Di sopra fiammeggiava il bello arnese
    piu` chiaro assai che luna per sereno
    di mezza notte nel suo mezzo mese.

    Io mi rivolsi d'ammirazion pieno
    al buon Virgilio, ed esso mi rispuose
    con vista carca di stupor non meno.

    Indi rendei l'aspetto a l'alte cose
    che si movieno incontr'a noi si` tardi,
    che foran vinte da novelle spose.

    La donna mi sgrido`: < si` ne l'affetto de le vive luci,
    e cio` che vien di retro a lor non guardi?>>.

    Genti vid'io allor, come a lor duci,
    venire appresso, vestite di bianco;
    e tal candor di qua gia` mai non fuci.

    L'acqua imprendea dal sinistro fianco,
    e rendea me la mia sinistra costa,
    s'io riguardava in lei, come specchio anco.

    Quand'io da la mia riva ebbi tal posta,
    che solo il fiume mi facea distante,
    per veder meglio ai passi diedi sosta,

    e vidi le fiammelle andar davante,
    lasciando dietro a se' l'aere dipinto,
    e di tratti pennelli avean sembiante;

    si` che li` sopra rimanea distinto
    di sette liste, tutte in quei colori
    onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto.

    Questi ostendali in dietro eran maggiori
    che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
    diece passi distavan quei di fori.

    Sotto cosi` bel ciel com'io diviso,
    ventiquattro seniori, a due a due,
    coronati venien di fiordaliso.

    Tutti cantavan: < ne le figlie d'Adamo, e benedette
    sieno in etterno le bellezze tue!>>.

    Poscia che i fiori e l'altre fresche erbette
    a rimpetto di me da l'altra sponda
    libere fuor da quelle genti elette,

    si` come luce luce in ciel seconda,
    vennero appresso lor quattro animali,
    coronati ciascun di verde fronda.

    Ognuno era pennuto di sei ali;
    le penne piene d'occhi; e li occhi d'Argo,
    se fosser vivi, sarebber cotali.

    A descriver lor forme piu` non spargo
    rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne,
    tanto ch'a questa non posso esser largo;

    ma leggi Ezechiel, che li dipigne
    come li vide da la fredda parte
    venir con vento e con nube e con igne;

    e quali i troverai ne le sue carte,
    tali eran quivi, salvo ch'a le penne
    Giovanni e` meco e da lui si diparte.

    Lo spazio dentro a lor quattro contenne
    un carro, in su due rote, triunfale,
    ch'al collo d'un grifon tirato venne.

    Esso tendeva in su` l'una e l'altra ale
    tra la mezzana e le tre e tre liste,
    si` ch'a nulla, fendendo, facea male.

    Tanto salivan che non eran viste;
    le membra d'oro avea quant'era uccello,
    e bianche l'altre, di vermiglio miste.

    Non che Roma di carro cosi` bello
    rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
    ma quel del Sol saria pover con ello;

    quel del Sol che, sviando, fu combusto
    per l'orazion de la Terra devota,
    quando fu Giove arcanamente giusto.

    Tre donne in giro da la destra rota
    venian danzando; l'una tanto rossa
    ch'a pena fora dentro al foco nota;

    l'altr'era come se le carni e l'ossa
    fossero state di smeraldo fatte;
    la terza parea neve teste' mossa;

    e or parean da la bianca tratte,
    or da la rossa; e dal canto di questa
    l'altre toglien l'andare e tarde e ratte.

    Da la sinistra quattro facean festa,
    in porpore vestite, dietro al modo
    d'una di lor ch'avea tre occhi in testa.

    Appresso tutto il pertrattato nodo
    vidi due vecchi in abito dispari,
    ma pari in atto e onesto e sodo.

    L'un si mostrava alcun de' famigliari
    di quel sommo Ipocrate che natura
    a li animali fe' ch'ell'ha piu` cari;

    mostrava l'altro la contraria cura
    con una spada lucida e aguta,
    tal che di qua dal rio mi fe' paura.

    Poi vidi quattro in umile paruta;
    e di retro da tutti un vecchio solo
    venir, dormendo, con la faccia arguta.

    E questi sette col primaio stuolo
    erano abituati, ma di gigli
    dintorno al capo non facean brolo,

    anzi di rose e d'altri fior vermigli;
    giurato avria poco lontano aspetto
    che tutti ardesser di sopra da' cigli.

    E quando il carro a me fu a rimpetto,
    un tuon s'udi`, e quelle genti degne
    parvero aver l'andar piu` interdetto,

    fermandosi ivi con le prime insegne.



    Purgatorio: Canto XXX


    Quando il settentrion del primo cielo,
    che ne' occaso mai seppe ne' orto
    ne' d'altra nebbia che di colpa velo,

    e che faceva li` ciascun accorto
    di suo dover, come 'l piu` basso face
    qual temon gira per venire a porto,

    fermo s'affisse: la gente verace,
    venuta prima tra 'l grifone ed esso,
    al carro volse se' come a sua pace;

    e un di loro, quasi da ciel messo,
    'Veni, sponsa, de Libano' cantando
    grido` tre volte, e tutti li altri appresso.

    Quali i beati al novissimo bando
    surgeran presti ognun di sua caverna,
    la revestita voce alleluiando,

    cotali in su la divina basterna
    si levar cento, ad vocem tanti senis,
    ministri e messaggier di vita etterna.

    Tutti dicean: 'Benedictus qui venis!',
    e fior gittando e di sopra e dintorno,
    'Manibus, oh, date lilia plenis!'.

    Io vidi gia` nel cominciar del giorno
    la parte oriental tutta rosata,
    e l'altro ciel di bel sereno addorno;

    e la faccia del sol nascere ombrata,
    si` che per temperanza di vapori
    l'occhio la sostenea lunga fiata:

    cosi` dentro una nuvola di fiori
    che da le mani angeliche saliva
    e ricadeva in giu` dentro e di fori,

    sovra candido vel cinta d'uliva
    donna m'apparve, sotto verde manto
    vestita di color di fiamma viva.

    E lo spirito mio, che gia` cotanto
    tempo era stato ch'a la sua presenza
    non era di stupor, tremando, affranto,

    sanza de li occhi aver piu` conoscenza,
    per occulta virtu` che da lei mosse,
    d'antico amor senti` la gran potenza.

    Tosto che ne la vista mi percosse
    l'alta virtu` che gia` m'avea trafitto
    prima ch'io fuor di puerizia fosse,

    volsimi a la sinistra col respitto
    col quale il fantolin corre a la mamma
    quando ha paura o quando elli e` afflitto,

    per dicere a Virgilio: 'Men che dramma
    di sangue m'e` rimaso che non tremi:
    conosco i segni de l'antica fiamma'.

    Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
    di se', Virgilio dolcissimo patre,
    Virgilio a cui per mia salute die'mi;

    ne' quantunque perdeo l'antica matre,
    valse a le guance nette di rugiada,
    che, lagrimando, non tornasser atre.

    < non pianger anco, non pianger ancora;
    che' pianger ti conven per altra spada>>.

    Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
    viene a veder la gente che ministra
    per li altri legni, e a ben far l'incora;

    in su la sponda del carro sinistra,
    quando mi volsi al suon del nome mio,
    che di necessita` qui si registra,

    vidi la donna che pria m'appario
    velata sotto l'angelica festa,
    drizzar li occhi ver' me di qua dal rio.

    Tutto che 'l vel che le scendea di testa,
    cerchiato de le fronde di Minerva,
    non la lasciasse parer manifesta,

    regalmente ne l'atto ancor proterva
    continuo` come colui che dice
    e 'l piu` caldo parlar dietro reserva:

    < Come degnasti d'accedere al monte?
    non sapei tu che qui e` l'uom felice?>>.

    Li occhi mi cadder giu` nel chiaro fonte;
    ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba,
    tanta vergogna mi gravo` la fronte.

    Cosi` la madre al figlio par superba,
    com'ella parve a me; perche' d'amaro
    sente il sapor de la pietade acerba.

    Ella si tacque; e li angeli cantaro
    di subito 'In te, Domine, speravi';
    ma oltre 'pedes meos' non passaro.

    Si` come neve tra le vive travi
    per lo dosso d'Italia si congela,
    soffiata e stretta da li venti schiavi,

    poi, liquefatta, in se' stessa trapela,
    pur che la terra che perde ombra spiri,
    si` che par foco fonder la candela;

    cosi` fui sanza lagrime e sospiri
    anzi 'l cantar di quei che notan sempre
    dietro a le note de li etterni giri;

    ma poi che 'ntesi ne le dolci tempre
    lor compatire a me, par che se detto
    avesser: 'Donna, perche' si` lo stempre?',

    lo gel che m'era intorno al cor ristretto,
    spirito e acqua fessi, e con angoscia
    de la bocca e de li occhi usci` del petto.

    Ella, pur ferma in su la detta coscia
    del carro stando, a le sustanze pie
    volse le sue parole cosi` poscia:

    < si` che notte ne' sonno a voi non fura
    passo che faccia il secol per sue vie;

    onde la mia risposta e` con piu` cura
    che m'intenda colui che di la` piagne,
    perche' sia colpa e duol d'una misura.

    Non pur per ovra de le rote magne,
    che drizzan ciascun seme ad alcun fine
    secondo che le stelle son compagne,

    ma per larghezza di grazie divine,
    che si` alti vapori hanno a lor piova,
    che nostre viste la` non van vicine,

    questi fu tal ne la sua vita nova
    virtualmente, ch'ogne abito destro
    fatto averebbe in lui mirabil prova.

    Ma tanto piu` maligno e piu` silvestro
    si fa 'l terren col mal seme e non colto,
    quant'elli ha piu` di buon vigor terrestro.

    Alcun tempo il sostenni col mio volto:
    mostrando li occhi giovanetti a lui,
    meco il menava in dritta parte volto.

    Si` tosto come in su la soglia fui
    di mia seconda etade e mutai vita,
    questi si tolse a me, e diessi altrui.

    Quando di carne a spirto era salita
    e bellezza e virtu` cresciuta m'era,
    fu' io a lui men cara e men gradita;

    e volse i passi suoi per via non vera,
    imagini di ben seguendo false,
    che nulla promession rendono intera.

    Ne' l'impetrare ispirazion mi valse,
    con le quali e in sogno e altrimenti
    lo rivocai; si` poco a lui ne calse!

    Tanto giu` cadde, che tutti argomenti
    a la salute sua eran gia` corti,
    fuor che mostrarli le perdute genti.

    Per questo visitai l'uscio d'i morti
    e a colui che l'ha qua su` condotto,
    li prieghi miei, piangendo, furon porti.

    Alto fato di Dio sarebbe rotto,
    se Lete' si passasse e tal vivanda
    fosse gustata sanza alcuno scotto

    di pentimento che lagrime spanda>>.



    Purgatorio: Canto XXXI


    <>,
    volgendo suo parlare a me per punta,
    che pur per taglio m'era paruto acro,

    ricomincio`, seguendo sanza cunta,
    < tua confession conviene esser congiunta>>.

    Era la mia virtu` tanto confusa,
    che la voce si mosse, e pria si spense
    che da li organi suoi fosse dischiusa.

    Poco sofferse; poi disse: < Rispondi a me; che' le memorie triste
    in te non sono ancor da l'acqua offense>>.

    Confusione e paura insieme miste
    mi pinsero un tal <> fuor de la bocca,
    al quale intender fuor mestier le viste.

    Come balestro frange, quando scocca
    da troppa tesa la sua corda e l'arco,
    e con men foga l'asta il segno tocca,

    si` scoppia' io sottesso grave carco,
    fuori sgorgando lagrime e sospiri,
    e la voce allento` per lo suo varco.

    Ond'ella a me: < che ti menavano ad amar lo bene
    di la` dal qual non e` a che s'aspiri,

    quai fossi attraversati o quai catene
    trovasti, per che del passare innanzi
    dovessiti cosi` spogliar la spene?

    E quali agevolezze o quali avanzi
    ne la fronte de li altri si mostraro,
    per che dovessi lor passeggiare anzi?>>.

    Dopo la tratta d'un sospiro amaro,
    a pena ebbi la voce che rispuose,
    e le labbra a fatica la formaro.

    Piangendo dissi: < col falso lor piacer volser miei passi,
    tosto che 'l vostro viso si nascose>>.

    Ed ella: < cio` che confessi, non fora men nota
    la colpa tua: da tal giudice sassi!

    Ma quando scoppia de la propria gota
    l'accusa del peccato, in nostra corte
    rivolge se' contra 'l taglio la rota.

    Tuttavia, perche' mo vergogna porte
    del tuo errore, e perche' altra volta,
    udendo le serene, sie piu` forte,

    pon giu` il seme del piangere e ascolta:


     


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