Orlando Furioso
by
Ludovico Ariosto

Part 15 out of 25



92
Ma perché si potria forse imputarme
c'ho atteso a farlo in mezzo a tante liti,
mentre che questi più famosi in arme
d'altre querele son tutti impediti;
tre giorni ad impiccarlo io vo' indugiarme:
intanto o vieni, o manda chi l'aiti;
che dopo, se non fia chi me lo vieti,
farò di lui mille uccellacci lieti.

93
Di qui presso a tre leghe a quella torre
che siede inanzi ad un piccol boschetto,
senza più compagnia mi vado a porre,
che d'una mia donzella e d'un valletto.
S'alcuno ardisce di venirmi a torre
questo ladron, là venga, ch'io l'aspetto. -
Così disse ella; e dove disse, prese
tosto la via, né più risposta attese.

94
Sul collo inanzi del destrier si pone
Brunel, che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero e grida, e le persone,
in che sperar solìa, chiama per nome.
Resta Agramante in tal confusione
di questi intrichi, che non vede come
poterli sciorre; e gli par via più greve
che Marfisa Brunel così gli leve.

95
Non che l'apprezzi o che gli porti amore,
anzi più giorni son che l'odia molto;
e spesso ha d'impiccarlo avuto in core,
dopo che gli era stato l'annel tolto.
Ma questo atto gli par contra il suo onore,
sì che n'avampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta,
e a tutto suo poter farne vendetta.

96
Ma il re Sobrino, il quale era presente,
da questa impresa molto il dissuade,
dicendogli che mal conveniente
era all'altezza di sua maestade,
se ben avesse d'esserne vincente
ferma speranza e certa sicurtade:
più ch'onor, gli fia biasmo, che si dica
ch'abbia vinta una femina a fatica.

97
Poco l'onore, e molto era il periglio
d'ogni battaglia che con lei pigliasse;
e che gli dava per miglior consiglio,
che Brunello alle forche aver lasciasse;
e se credesse ch'uno alzar di ciglio
a torlo dal capestro gli bastasse,
non dovea alzarlo, per non contradire
che s'abbia la giustizia ad esequire.

98
- Potrai mandare un che Marfisa prieghi
(dicea) ch'in questo giudice ti faccia,
con promission ch'al ladroncel si leghi
il laccio al collo, e a lei si sodisfaccia;
e quando anco ostinata te lo nieghi,
se l'abbia, e il suo desir tutto compiaccia:
pur che da tua amicizia non si spicchi,
Brunello e gli altri ladri tutti impicchi. -

99
Il re Agramante volentier s'attenne
al parer di Sobrin discreto e saggio;
e Marfisa lasciò, che non le venne,
né patì ch'altri andasse a farle oltraggio,
né di farla pregare anco sostenne:
e tolerò, Dio sa con che coraggio,
per poter acchetar liti maggiori,
e del suo campo tor tanti romori.

100
Di ciò si ride la Discordia pazza,
che pace o triegua ormai più teme poco.
Scorre di qua e di là tutta la piazza,
né può trovar per allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
e legne ed esca va aggiungendo al fuoco:
e grida sì, che fin ne l'alto regno
manda a Michel de la vittoria segno.

101
Tremò Parigi e turbidossi Senna
all'alta voce, a quello orribil grido;
rimbombò il suon fin alla selva Ardenna
sì che lasciar tutte le fiere il nido.
Udiron l'Alpi e il monte di Gebenna,
di Blaia e d'Arli e di Roano il lido;
Rodano e Sonna udì, Garonna e il Reno:
si strinsero le madri i figli al seno.

102
Son cinque cavallier c'han fisso il chiodo
d'essere i primi a terminar sua lite,
l'una ne l'altra aviluppata in modo,
che non l'avrebbe Apolline espedite.
Commincia il re Agramante a sciorre il nodo
de le prime tenzon ch'aveva udite,
che per la figlia del re Stordilano
eran tra il re di Scizia e il suo Africano.

103
Il re Agramante andò per porre accordo
di qua e di là più volte a questo e a quello,
e a questo e a quel più volte diè ricordo
da signor giusto e da fedel fratello:
e quando parimente trova sordo
l'un come l'altro, indomito e rubello
di volere esser quel che resti senza
la donna da cui vien lor differenza;

104
s'appiglia al fin, come a miglior partito,
di che amendui si contentar gli amanti,
che de la bella donna sia marito
l'uno de' duo, quel che vuole essa inanti;
e da quanto per lei sia stabilito,
più non si possa andar dietro né avanti.
All'uno e all'altro piace il compromesso,
sperando ch'esser debbia a favor d'esso.

105
Il re di Sarza, che gran tempo prima
di Mandricardo amava Doralice,
ed ella l'avea posto in su la cima
d'ogni favor ch'a donna casta lice;
che debba in util suo venire estima
la gran sentenza che 'l può far felice:
né egli avea questa credenza solo,
ma con lui tutto il barbaresco stuolo.

106
Ognun sapea ciò ch'egli avea già fatto
per essa in giostre, in torniamenti, in guerra;
e che stia Mandricardo a questo patto,
dicono tutti che vaneggia ed erra.
Ma quel che più fiate e più di piatto
con lei fu mentre il sol stava sotterra,
e sapea quanto avea di certo in mano,
ridea del popular giudicio vano.

107
Poi lor convenzion ratificaro
in man del re quei duo prochi famosi,
ed indi alla donzella se n'andaro.
Ed ella abbassò gli occhi vergognosi,
e disse che più il Tartaro avea caro:
di che tutti restar maravigliosi;
Rodomonte sì attonito e smarrito,
che di levar non era il viso ardito.

108
Ma poi che l'usata ira cacciò quella
vergogna che gli avea la faccia tinta,
ingiusta e falsa la sentenza appella;
e la spada impugnando, ch'egli ha cinta,
dice, udendo il re e gli altri, che vuol ch'ella
gli dia perduta questa causa o vinta,
e non l'arbitrio di femina lieve
che sempre inchina a quel che men far deve.

109
Di nuovo Mandricardo era risorto,
dicendo: - Vada pur come ti pare: -
sì che prima che 'l legno entrasse in porto,
v'era a solcare un gran spazio di mare:
se non che 'l re Agramante diede torto
a Rodomonte, che non può chiamare
più Mandricardo per quella querela;
e fe' cadere a quel furor la vela.

110
Or Rodomonte che notar si vede
dinanzi a quei signor di doppio scorno,
dal suo re, a cui per riverenza cede,
e da la donna sua, tutto in un giorno,
quivi non volse più fermare il piede;
e de la molta turba ch'avea intorno
seco non tolse più che duo sergenti,
ed uscì dei moreschi alloggiamenti.

111
Come, partendo, afflitto tauro suole,
che la giuvenca al vincitor cesso abbia,
cercar le selve e le rive più sole
lungi dai paschi, o qualche arrida sabbia;
dove muggir non cessa all'ombra e al sole,
né però scema l'amorosa rabbia:
così sen va di gran dolor confuso
il re d'Algier da la sua donna escluso.

112
Per riavere il buon destrier si mosse
Ruggier, che già per questo s'era armato;
ma poi di Mandricardo ricordasse,
a cui de la battaglia era ubligato:
non seguì Rodomonte, e ritornosse
per entrar col re tartaro in steccato
prima che 'ntrasse il re di Sericana,
che l'altra lite avea di Durindana.

113
Veder torsi Frontin troppo gli pesa
dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo;
ma dato ch'abbia fine a questa impresa,
ha ferma intenzion di ricovrarlo.
Ma Sacripante, che non ha contesa,
come Ruggier, che possa distornarlo,
e che non ha da far altro che questo,
per l'orme vien di Rodomonte presto.

114
E tosto l'avria giunto, se non era
un caso strano che trovò tra via,
che lo fe' dimorar fin alla sera,
e perder le vestigie che seguia.
Trovò una donna che ne la riviera
di Senna era caduta, e vi peria,
s'a darle tosto aiuto non veniva:
saltò ne l'acqua e la ritrasse a riva.

115
Poi quando in sella volse risalire,
aspettato non fu dal suo destriero,
che fin a sera si fece seguire,
e non si lasciò prender di leggiero:
preselo al fin, ma non seppe venire
più, donde s'era tolto dal sentiero:
ducento miglia errò tra piano e monte,
prima che ritrovasse Rodomonte.

116
Dove trovollo, e come fu conteso
con disvantaggio assai di Sacripante,
come perdé il cavallo e restò preso,
or non dirò; c'ho da narrarvi inante
di quanto sdegno e di quanta ira acceso
contra la donna e contra il re Agramante
del campo Rodomonte si partisse,
e ciò che contra all'uno e all'altro disse.

117
Di cocenti sospir l'aria accendea
dovunque andava il Saracin dolente:
Ecco per la pietà che gli n'avea,
da' cavi sassi rispondea sovente.
- Oh feminile ingegno (egli dicea),
come ti volgi e muti facilmente,
contrario oggetto proprio de la fede!
Oh infelice, oh miser chi ti crede!

118
Né lunga servitù, né grand'amore
che ti fu a mille prove manifesto,
ebbono forza di tenerti il core,
che non fossi a cangiarsi almen sì presto.
Non perch'a Mandricardo inferiore
io ti paressi, di te privo resto;
né so trovar cagione ai casi miei,
se non quest'una, che femina sei.

119
Credo che t'abbia la Natura e Dio
produtto, o scelerato sesso, al mondo
per una soma, per un grave fio
de l'uom, che senza te saria giocondo:
come ha produtto anco il serpente rio
e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo
e di mosche e di vespe e di tafani,
e loglio e avena fa nascer tra i grani.

120
Perché fatto non ha l'alma Natura,
che senza te potesse nascer l'uomo,
come s'inesta per umana cura
l'un sopra l'altro il pero, il corbo e 'l pomo?
Ma quella non può far sempre a misura:
anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
veggo che non può far cosa perfetta,
poi che Natura femina vien detta.

121
Non siate però tumide e fastose,
donne, per dir che l'uom sia vostro figlio;
che de le spine ancor nascon le rose,
e d'una fetida erba nasce il giglio:
importune, superbe, dispettose,
prive d'amor, di fede e di consiglio,
temerarie, crudeli, inique, ingrate,
per pestilenza eterna al mondo nate. -

122
Con queste ed altre er infinite appresso
querele il re di Sarza se ne giva,
or ragionando in un parlar sommesso,
quando in un suon che di lontan s'udiva,
in onta e in biasmo del femineo sesso:
e certo da ragion si dipartiva;
che per una o per due che trovi ree,
che cento buone sien creder si dee.

123
Se ben di quante io n'abbia fin qui amate,
non n'abbia mai trovata una fedele,
perfide tutte io non vo' dir né ingrate,
ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte or ne sono, e più già ne son state,
che non dan causa ad uom che si querele;
ma mia fortuna vuol che s'una ria
ne sia tra cento, io di lei preda sia.

124
Pur vo' tanto cercar prima ch'io mora,
anzi prima che 'l crin più mi s'imbianchi,
che forse dirò un dì, che per me ancora
alcuna sia che di sua fé non manchi.
Se questo avvien (che di speranza fuora
io non ne son), non fia mai ch'io mi stanchi
di farla, a mia possanza, gloriosa
con lingua e con inchiostro, e in verso e in prosa.

125
Il Saracin non avea manco sdegno
contra il suo re, che contra la donzella;
e così di ragion passava il segno,
biasmando lui, come biasmando quella.
Ha disio di veder che sopra il regno
gli cada tanto mal, tanta procella,
ch'in Africa ogni casa si funesti,
né pietra salda sopra pietra resti;

126
e che spinto del regno, in duolo e in lutto
viva Agramante misero e mendico:
e ch'esso sia che poi gli renda il tutto,
e lo riponga nel suo seggio antico,
e de la fede sua produca il frutto;
e gli faccia veder ch'un vero amico
a dritto e a torto esser dovea preposto,
se tutto 'l mondo se gli fosse opposto.

127
E così quando al re, quando alla donna
volgendo il cor turbato, il Saracino
cavalca a gran giornate, e non assonna,
e poco riposar lascia Frontino.
Il dì seguente o l'altro in su la Sonna
si ritrovò, ch'avea dritto il camino
verso il mar di Provenza, con disegno
di navigare in Africa al suo regno.

128
Di barche e di sottil legni era tutto
fra l'una ripa e l'altra il fiume pieno,
ch'ad uso de l'esercito condutto
da molti lochi vettovaglie avieno;
perché in poter de' Mori era ridutto,
venendo da Parigi al lito ameno
d'Acquamorta, e voltando invêr la Spagna,
ciò che v'è da man destra di campagna.

129
Le vettovaglie in carra ed in iumenti,
tolte fuor de le navi, erano carche,
e tratte con la scorta de le genti,
ove venir non si potea con barche.
Avean piene le ripe i grassi armenti
quivi condotti da diverse marche;
e i conduttori intorno alla riviera
per vari tetti albergo avean la sera.

130
Il re d'Algier, perché gli sopravenne
quivi la notte e l'aer nero e cieco,
d'un ostier paesan lo 'nvito tenne,
che lo pregò che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la mensa venne
di vari cibi e di vin corso e greco;
che 'l Saracin nel resto alla moresca
ma volse far nel bere alla francesca.

131
L'oste con buona mensa e miglior viso
studiò di fare a Rodomonte onore;
che la presenza gli diè certo aviso
ch'era uomo illustre e pien d'alto valore:
ma quel che da se stesso era diviso,
né quella sera avea ben seco il core
(che mal suo grado s'era ricondotto
alla donna già sua), non facea motto.

132
Il buon ostier, che fu dei diligenti
che mai si sien per Francia ricordati,
quando tra le nimiche e strane genti
l'albergo e' beni suoi s'avea salvati,
per servir, quivi, alcuni suoi parenti,
a tal servigio pronti, avea chiamati;
de' quai non era alcun di parlar oso,
vedendo il Saracin muto e pensoso.

133
Di pensiero in pensiero andò vagando
da se stesso lontano il pagan molto,
col viso a terra chino, né levando
sì gli occhi mai, ch'alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo star cheto, suspirando,
sì come d'un gran sonno allora sciolto,
tutto si scosse, e insieme alzò le ciglia,
e voltò gli occhi all'oste e alla famiglia.

134
Indi roppe il silenzio, e con sembianti
più dolci un poco e viso men turbato,
domandò all'oste e agli altri circostanti
se d'essi alcuno avea mogliere a lato.
Che l'oste e che quegli altri tutti quanti
l'aveano, per risposta gli fu dato.
Domanda lor quel che ciascun si crede
de la sua donna nel servargli fede.

135
Eccetto l'oste, fer tutti risposta,
che si credeano averle e caste e buone.
Disse l'oste: - Ognun pur creda a sua posta;
ch'io so ch'avete falsa opinione.
Il vostro sciocco credere vi costa
ch'io stimi ognun di voi senza ragione;
e così far questo signor deve anco,
se non vi vuol mostrar nero per bianco.

136
Perché, sì come è sola la fenice,
né mai più d'una in tutto il mondo vive,
così né mai più d'uno esser si dice,
che de la moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d'esser quel felice,
d'esser quel sol ch'a questa palma arrive.
Come è possibil che v'arrivi ognuno,
se non ne può nel mondo esser più d'uno?

137
Io fui già ne l'error che siete voi,
che donna casta anco più d'una fusse.
Un gentilomo di Vinegia poi,
che qui mia buona sorte già condusse,
seppe far sì con veri esempi suoi,
che fuor de l'ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco Valerio era nomato;
che 'l nome suo non mi s'è mai scordato.

138
Le fraudi che le mogli e che l'amiche
sogliano usar, sapea tutte per conto:
e sopra ciò moderne istorie e antiche,
e proprie esperienze avea sì in pronto,
che mi mostrò che mai donne pudiche
non si trovaro, o povere o di conto;
e s'una casta più de l'altra parse,
venìa, perché più accorta era a celarse.

139
E fra l'altre (che tante me ne disse,
che non ne posso il terzo ricordarmi),
sì nel capo una istoria mi si scrisse,
che non si scrisse mai più saldo in marmi:
e ben parria a ciascuno che l'udisse,
di queste rie quel ch'a me parve e parmi.
E se, signor, a voi non spiace udire,
a lor confusion ve la vo' dire. -

140
Rispose il Saracin: - Che puoi tu farmi,
che più al presente mi diletti e piaccia,
che dirmi istoria e qualche esempio darmi
che con l'opinion mia si confaccia?
Perch'io possa udir meglio, e tu narrarmi,
siedemi incontra, ch'io ti vegga in faccia. -
Ma nel canto che segue io v'ho da dire
quel che fe' l'oste a Rodomonte udire.


CANTO VENTOTTESIMO


1
Donne, e voi che le donne avete in pregio,
per Dio, non date a questa istoria orecchia,
a questa che l'ostier dire in dispregio
e in vostra infamia e biasmo s'apparecchia;
ben che né macchia vi può dar né fregio
lingua sì vile, e sia l'usanza vecchia
che 'l volgare ignorante ognun riprenda,
e parli più di quel che meno intenda.

2
Lasciate questo canto, che senza esso
può star l'istoria, e non sarà men chiara.
Mettendolo Turpino, anch'io l'ho messo,
non per malivolenza né per gara.
Ch'io v'ami, oltre mia lingua che l'ha espresso,
che mai non fu di celebrarvi avara,
n'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro
ch'io son, né potrei esser se non vostro.

3
Passi, chi vuol, tre carte o quattro, senza
leggerne verso, e chi pur legger vuole,
gli dia quella medesima credenza
che si suol dare a finzioni e a fole.
Ma tornando al dir nostro, poi ch'udienza
apparecchiata vide a sue parole,
e darsi luogo incontra al cavalliero,
così l'istoria incominciò l'ostiero.

4
- Astolfo, re de' Longobardi, quello
a cui lasciò il fratel monaco il regno,
fu ne la giovinezza sua sì bello,
che mai poch'altri giunsero a quel segno.
N'avria a fatica un tal fatto a penello
Apelle, o Zeusi, o se v'è alcun più degno.
Bello era, ed a ciascun così parea:
ma di molto egli ancor più si tenea.

5
Non stimava egli tanto per l'altezza
del grado suo, d'avere ognun minore;
né tanto, che di genti e di ricchezza,
di tutti i re vicini era il maggiore;
quanto che di presenza e di bellezza
avea per tutto 'l mondo il primo onore.
Godea di questo, udendosi dar loda,
quanto di cosa volentier più s'oda.

6
Tra gli altri di sua corte avea assai grato
Fausto Latini, un cavallier romano:
con cui sovente essendosi lodato
or del bel viso or de la bella mano,
ed avendolo un giorno domandato
se mai veduto avea, presso o lontano,
altro uom di forma così ben composto;
contra quel che credea, gli fu risposto.

7
- Dico (rispose Fausto) che secondo
ch'io veggo e che parlarne odo a ciascuno,
ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi pochi io li restringo in uno.
Quest'uno è un fratel mio, detto Iocondo.
Eccetto lui, ben crederò ch'ognuno
di beltà molto a dietro tu ti lassi;
ma questo sol credo t'adegui e passi. -

8
Al re parve impossibil cosa udire,
che sua la palma infin allora tenne;
e d'aver conoscenza alto desire
di sì lodato giovene gli venne.
Fe' sì con Fausto, che di far venire
quivi il fratel prometter gli convenne;
ben ch'a poterlo indur che ci venisse,
saria fatica, e la cagion gli disse:

9
che 'l suo fratello era uom che mosso il piede
mai non avea di Roma alla sua vita,
che del ben che Fortuna gli concede,
tranquilla e senza affanni avea notrita:
la roba di che 'l padre il lasciò erede,
né mai cresciuta avea né minuita;
e che parrebbe a lui Pavia lontana
più che non parria a un altro ire alla Tana.

10
E la difficultà saria maggiore
a poterlo spiccar da la mogliere,
con cui legato era di tanto amore,
che non volendo lei, non può volere.
Pur per ubbidir lui che gli è signore,
disse d'andare e fare oltre il potere.
Giunse il re a' prieghi tali offerte e doni,
che di negar non gli lasciò ragioni.

11
Partisse, e in pochi giorni ritrovosse
dentro di Roma alle paterne case.
Quivi tanto pregò, che 'l fratel mosse
sì ch'a venire al re gli persuase;
e fece ancor (ben che difficil fosse)
che la cognata tacita rimase,
proponendole il ben che n'usciria,
oltre ch'obligo sempre egli l'avria.

12
Fisse Iocondo alla partita il giorno:
trovò cavalli e servitori intanto;
vesti fe' far per comparire adorno,
che talor cresce una beltà un bel manto.
La notte a lato, e 'l dì la moglie intorno,
con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
gli dice che non sa come patire
potrà tal lontananza e non morire;

13
che pensandovi sol, da la radice
sveller si sente il cor nel lato manco.
- Deh, vita mia, non piagnere (le dice
Iocondo, e seco piagne egli non manco);
così mi sia questo camin felice,
come tornar vo' fra duo mesi almanco:
né mi faria passar d'un giorno il segno,
se mi donasse il re mezzo il suo regno.-

14
Né la donna perciò si riconforta:
dice che troppo termine si piglia;
e s'al ritorno non la trova morta,
esser non può se non gran maraviglia.
Non lascia il duol che giorni e notte porta,
che gustar cibo, e chiuder possa ciglia;
tal che per la pietà Iocondo spesso
si pente ch'al fratello abbia promesso.

15
Dal collo un suo monile ella si sciolse,
ch'una crocetta avea ricca di gemme,
e di sante reliquie che raccolse
in molti luoghi un peregrin boemme;
ed il padre di lei, ch'in casa il tolse
tornando infermo, di Ierusalemme,
venendo a morte poi ne lasciò erede:
questa levossi ed al marito diede.

16
E che la porti per suo amore al collo
lo prega, sì che ognor gli ne sovenga.
Piacque il dono al marito, ed accettollo;
non perché dar ricordo gli convenga:
che né tempo né assenza mai dar crollo,
né buona o ria fortuna che gli avenga,
potrà a quella memoria salda e forte
c'ha di lei sempre, e avrà dopo la morte.

17
La notte ch'andò inanzi a quella aurora
che fu il termine estremo alla partenza,
al suo Iocondo par ch'in braccio muora
la moglie, che n'ha tosto da star senza.
Mai non si dorme; e inanzi al giorno un'ora
viene il marito all'ultima licenza.
Montò a cavallo e si partì in effetto;
e la moglier si ricorcò nel letto.

18
Iocondo ancor duo miglia ito non era,
che gli venne la croce raccordata,
ch'avea sotto il guancial messo la sera,
poi per oblivion l'avea lasciata.
- Lasso! (dicea tra sé) di che maniera
troverò scusa che mi sia accettata,
che mia moglie non creda che gradito
poco da me sia l'amor suo infinito? -

19
Pensa la scusa, e poi gli cade in mente
che non sarà accettabile né buona,
mandi famigli, mandivi altra gente,
s'egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e al fratel dice: - Or pianamente
fin a Baccano al primo albergo sprona;
che dentro a Roma è forza ch'io rivada:
e credo anco di giugnerti per strada.

20
Non potria fare altri il bisogno mio:
né dubitar, ch'io sarò tosto teco. -
voltò il ronzin di trotto, e disse a Dio;
né de' famigli suoi volse alcun seco.
Già cominciava, quando passò il rio,
dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in casa, va al letto, e la consorte
quivi ritrova addormentata forte.

21
La cortina levò senza far motto,
e vide quel che men veder credea:
che la sua casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in braccio a un giovene giacea.
Riconobbe l'adultero di botto,
per la pratica lunga che n'avea;
ch'era de la famiglia sua un garzone,
allevato da lui, d'umil nazione.

22
S'attonito restasse e malcontento,
meglio è pensarlo e farne fede altrui,
ch'esserne mai per far l'esperimento
che con suo gran dolor ne fe' costui.
Da lo sdegno assalito, ebbe talento
di trar la spada e uccidergli ambedui:
ma da l'amor che porta, al suo dispetto,
all'ingrata moglier, gli fu interdetto.

23
Né lo lasciò questo ribaldo Amore
(vedi se sì l'avea fatto vasallo)
destarla pur, per non le dar dolore
che fosse da lui colta in sì gran fallo.
Quanto poté più tacito uscì fuore,
scese le scale, e rimontò a cavallo;
e punto egli d'amor, così lo punse,
ch'all'albergo non fu, che 'l fratel giunse.

24
Cambiato a tutti parve esser nel volto;
vider tutti che 'l cor non avea lieto.
ma non v'è chi s'apponga già di molto,
e possa penetrar nel suo secreto.
Credeano che da lor si fosse tolto
per gire a Roma, e gito era a Corneto.
Ch'amor sia del mal causa ognun s'avisa;
ma non è già chi dir sappia in che guisa.

25
Estimasi il fratel, che dolor abbia
d'aver la moglie sua sola lasciata;
e pel contrario duolsi egli ed arrabbia
che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte crespa e con gonfiate labbia
sta l'infelice, e sol la terra guata.
Fausto ch'a confortarlo usa ogni prova,
perché non sa la causa, poca giova.

26
Di contrario liquor la piaga gli unge,
e dove tor dovria, gli accresce doglie;
dove dovria saldar, più l'apre e punge:
questo gli fa col ricordar la moglie.
Né posa dì né notte: il sonno lunge
fugge col gusto, e mai non si raccoglie:
e la faccia, che dianzi era sì bella,
si cangia sì, che più non sembra quella.

27
Par che gli occhi se ascondin ne la testa;
cresciuto il naso par nel viso scarno:
de la beltà sì poca gli ne resta,
che ne potrà far paragone indarno.
Col duol venne una febbre sì molesta,
che lo fe' soggiornar all'Arbia e all'Arno:
e se di bello avea serbata cosa,
tosto restò come al sol colta rosa.

28
Oltre ch'a Fausto incresca del fratello
che veggia a simil termine condutto,
via più gl'incresce che bugiardo a quello
principe, a chi lodollo, parrà in tutto:
mostrar di tutti gli uomini il più bello
gli avea promesso, e mostrerà il più brutto.
Ma pur continuando la sua via,
seco lo trasse al fin dentro a Pavia.

29
Già non vuol che lo vegga il re improviso,
per non mostrarsi di giudicio privo:
ma per lettere inanzi gli dà aviso
che 'l suo fratel ne viene a pena vivo;
e ch'era stato all'aria del bel viso
un affanno di cor tanto nocivo,
accompagnato da una febbre ria,
che più non parea quel ch'esser solia.

30
Grata ebbe la venuta di Iocondo
quanto potesse il re d'amico avere;
che non avea desiderato al mondo
cosa altretanto, che di lui vedere.
Né gli spiace vederselo secondo,
e di bellezza dietro rimanere;
ben che conosca, se non fosse il male,
che gli saria superiore o uguale.

31
Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio,
lo visita ogni giorno, ogni ora n'ode;
fa gran provision che stia con agio,
e d'onorarlo assai si studia e gode.
Langue Iocondo, che 'l pensier malvagio
c'ha de la ria moglier, sempre lo rode:
né 'l veder giochi, né musici udire,
dramma del suo dolor può minuire.

32
Le stanze sue, che sono appresso al tetto
l'ultime, inanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo (perche ogni diletto,
perch'ogni compagnia prova nimica)
si ritraea, sempre aggiungendo al petto
di più gravi pensier nuova fatica:
e trovò quivi (or chi lo crederia?)
chi lo sanò de la sua piaga ria.

33
In capo de la sala, ove è più scuro
(che non vi s'usa le finestre aprire,)
vede che 'l palco mal si giunge al muro,
e fa d'aria più chiara un raggio uscire.
Pon l'occhio quindi, e vede quel che duro
a creder fôra a chi l'udisse dire:
non l'ode egli d'altrui, ma se lo vede;
ed anco agli occhi suoi propri non crede.

34
Quindi scopria de la regina tutta
la più secreta stanza e la più bella,
ove persona non verria introdutta,
se per molto fedel non l'avesse ella.
Quindi mirando vide in strana lutta
ch'un nano aviticchiato era con quella:
ed era quel piccin stato sì dotto,
che la regina avea messa di sotto.

35
Attonito Iocondo e stupefatto,
e credendo sognarsi, un pezzo stette;
e quando vide pur che gli era in fatto
e non in sogno, a se stesso credette.
- A uno sgrignuto mostro e contrafatto
dunque (disse) costei si sottomette,
che 'l maggior re del mondo ha per marito,
più bello e più cortese? oh che appetito! -

36
E de la moglie sua, che così spesso
più d'ogn'altra biasmava, ricordosse,
perché 'l ragazzo s'avea tolto appresso:
ed or gli parve che escusabil fosse.
Non era colpa sua più che del sesso,
che d'un solo uomo mai non contentosse:
e s'han tutte una macchia d'uno inchiostro,
almen la sua non s'avea tolto un mostro.

37
Il dì seguente, alla medesima ora,
al medesimo loco fa ritorno;
e la regina e il nano vede ancora,
che fanno al re pur il medesmo scorno.
Trova l'altro dì ancor che si lavora,
e l'altro; e al fin non si fa festa giorno:
e la regina (che gli par più strano)
sempre si duol che poco l'ami il nano.

38
Stette fra gli altri un giorno a veder, ch'ella
era turbata e in gran malenconia,
che due volte chiamar per la donzella
il nano fatto avea, n'ancor venìa.
Mandò la terza volta, ed udì quella,
che: - Madonna, egli giuoca (riferia);
e per non stare in perdita d'un soldo,
a voi niega venire il manigoldo. -

39
A sì strano spettacolo Iocondo
raserena la fronte e gli occhi e il viso;
e quale in nome, diventò giocondo
d'effetto ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro torna e grasso e rubicondo,
che sembra un cherubin del paradiso;
che 'l re, il fratello e tutta la famiglia
di tal mutazion si maraviglia.

40
Se da Iocondo il re bramava udire
onde venisse il subito conforto,
non men Iocondo lo bramava dire,
e fare il re di tanta ingiuria accorto;
ma non vorria che, più di sé, punire
volesse il re la moglie di quel torto;
sì che per dirlo e non far danno a lei,
il re fece giurar su l'agnusdei.

41
Giurar lo fe' che né per cosa detta,
né che gli sia mostrata che gli spiaccia,
ancor ch'egli conosca che diretta-
mente a sua Maestà danno si faccia,
tardi o per tempo mai farà vendetta;
e di più vuole ancor che se ne taccia,
sì che né il malfattor giamai comprenda
in fatto o in detto, che 'l re il caso intenda.

42
Il re, ch'ogn'altra cosa, se non questa,
creder potria, gli giurò largamente.
Iocondo la cagion gli manifesta,
ond'era molti dì stato dolente:
perché trovata avea la disonesta
sua moglie in braccio d'un suo vil sergente;
e che tal pena al fin l'avrebbe morto,
se tardato a venir fosse il conforto.

43
Ma in casa di sua Altezza avea veduto
cosa che molto gli scemava il duolo;
che se bene in obbrobrio era caduto,
era almen certo di non v'esser solo.
Così dicendo, e al bucolin venuto,
gli dimostrò il bruttissimo omiciuolo
che la giumenta altrui sotto si tiene,
tocca di sproni e fa giuocar di schene.

44
Se parve al re vituperoso l'atto,
lo crederete ben, senza ch'io 'l giuri.
Ne fu per arrabbiar, per venir matto;
ne fu per dar del capo in tutti i muri;
fu per gridar, fu per non stare al patto:
ma forza è che la bocca al fin si turi,
e che l'ira trangugi amara ed acra,
poi che giurato avea su l'ostia sacra.

45
- Che debbo far, che mi consigli, frate,
(disse a Iocondo), poi che tu mi tolli
che con degna vendetta e crudeltate
questa giustissima ira io non satolli? -
- Lasciàn (disse Iocondo) queste ingrate,
e proviam se son l'altre così molli:
facciàn de le lor femine ad altrui
quel ch'altri de le nostre han fatto a nui.

46
Ambi gioveni siamo, e di bellezza,
che facilmente non troviamo pari.
Qual femina sarà che n'usi asprezza,
se contra i brutti ancor non han ripari?
Se beltà non varrà né giovinezza,
varranne almen l'aver con noi danari.
Non vo' che torni, che non abbi prima
di mille moglie altrui la spoglia opima.

47
La lunga assenza, il veder vari luoghi,
praticare altre femine di fuore,
par che sovente disacerbi e sfoghi
de l'amorose passioni il core. -
Lauda il parer, né vuol che si proròghi
il re l'andata; e fra pochissime ore,
con due scudieri, oltre alla compagnia
del cavallier roman, si mette in via.

48
Travestiti cercaro Italia, Francia,
le terre de' Fiaminghi e de l'Inglesi;
e quante ne vedean di bella guancia,
trovavan tutte ai prieghi lor cortesi.
Davano, e dato loro era la mancia;
e spesso rimetteano i danar spesi.
Da loro pregate foro molte, e foro
anch'altretante che pregaron loro.

49
In questa terra un mese, in quella dui
soggiornando, accertarsi a vera prova
che non men ne le lor, che ne l'altrui
femine, fede e castità si trova.
Dopo alcun tempo increbbe ad ambedui
di sempre procacciar di cosa nuova;
che mal poteano entrar ne l'altrui porte,
senza mettersi a rischio de la morte.

50
Gli è meglio una trovarne che di faccia
e di costumi ad ambi grata sia;
che lor communemente sodisfaccia,
e non n'abbin d'aver mai gelosia.
- E perché (dicea il re) vo' che mi spiaccia
aver più te ch'un altro in compagnia?
So ben ch'in tutto il gran femineo stuolo
una non è che stia contenta a un solo.

51
Una, senza sforzar nostro potere,
ma quando il natural bisogno inviti,
in festa goderemoci e in piacere,
che mai contese non avren né liti.
Né credo che si debba ella dolere:
che s'anco ogn'altra avesse duo mariti,
più ch'ad un solo, a duo saria fedele;
né forse s'udirian tante querele. -

52
Di quel che disse il re, molto contento
rimaner parve il giovine romano.
Dunque fermati in tal proponimento,
cercar molte montagne e molto piano:
trovaro al fin, secondo il loro intento,
una figliuola d'uno ostiero ispano,
che tenea albergo al porto di Valenza,
bella di modi e bella di presenza.

53
Era ancor sul fiorir di primavera
sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat'era,
e nimico mortal di povertade;
sì ch'a disporlo fu cosa leggiera,
che desse lor la figlia in potestade;
ch'ove piacesse lor potesson trarla,
poi che promesso avean di ben trattarla.

54
Pigliano la fanciulla, e piacer n'hanno
or l'un or l'altro in caritade e in pace,
come a vicenda i mantici che danno,
or l'uno or l'altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
e passar poi nel regno di Siface;
e 'l dì che da Valenza si partiro,
ad albergare a Zattiva veniro.

55
I patroni a veder strade e palazzi
ne vanno, e lochi publici e divini;
ch'usanza han di pigliar simil solazzi
in ogni terra ove entran peregrini;
e la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini,
altri hanno cura che sia alla tornata
dei signor lor la cena apparecchiata.

56
Ne l'albergo un garzon stava per fante,
ch'in casa de la giovene già stette
a' servigi del padre, e d'essa amante
fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fer sembiante,
ch'esser notato ognun di lor temette:
ma tosto ch'i patroni e la famiglia
lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.

57
Il fante domandò dove ella gisse,
e qual dei duo signor l'avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(così avea nome, e quel garzone il Greco).
- Quando sperai che 'l tempo ohimè! venisse
(il Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
e non so più di rivederti mai.

58
Fannosi i dolci miei disegni amari,
poi che sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun' danari
con gran fatica e gran sudor riposti,
ch'avanzato m'avea de' miei salari
e de le bene andate di molti osti,
di tornare a Valenza, e domandarti
al padre tuo per moglie, e di sposarti. -

59
La fanciulla negli omeri si stringe,
e risponde che fu tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge:
- Vuommi (dice) lasciar così morire?
Con le tuo braccia i fianchi almen mi cinge,
lasciami disfogar tanto desire:
ch'inanzi che tu parta, ogni momento
che teco io stia mi fa morir contento. -

60
La pietosa fanciulla rispondendo:
- Credi (dicea) che men di te nol bramo;
ma né luogo né tempo ci comprendo
qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo. -
Il Greco soggiungea: - Certo mi rendo,
che s'un terzo ami me di quel ch'io t'amo,
in questa notte almen troverai loco
che ci potren godere insieme un poco. -

61
- Come potrò (diceagli la fanciulla),
che sempre in mezzo a duo la notte giaccio?
e meco or l'uno or l'altro si trastulla,
e sempre a l'un di lor mi trovo in braccio? -
- Questo ti fia (suggiunse il Greco) nulla;
che ben ti saprai tor di questo impaccio,
e uscir di mezzo lor, pur che tu voglia:
e déi voler, quando di me ti doglia. -

62
Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
quando creder potrà ch'ognuno dorma;
e pianamente come far convegna,
e de l'andare e del tornar l'informa.
Il Greco, sì come ella gli disegna,
quando sente dormir tutta la torma,
viene all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
entra pian piano, e va a tenton col piede.

63
Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
tutto si ferma, e l'altro par che muova
a guisa che di dar tema nel vetro,
non che 'l terreno abbia a calcar, ma l'uova;
e tien la mano inanzi simil metro,
va brancolando infin che 'l letto trova:
e di là dove gli altri avean le piante,
tacito si cacciò col capo inante.

64
Fra l'una e l'altra gamba di Fiammetta,
che supina giacea, diritto venne;
e quando le fu a par, l'abbracciò stretta,
e sopra lei sin presso al dì si tenne.
Cavalcò forte, e non andò a staffetta;
che mai bestia mutar non gli convenne:
che questa pare a lui che sì ben trotte,
che scender non ne vuol per tutta notte.

65
Avea Iocondo ed avea il re sentito
il calpestio che sempre il letto scosse;
e l'uno e l'altro, d'uno error schernito,
s'avea creduto che 'l compagno fosse.
Poi ch'ebbe il Greco il suo camin fornito,
sì come era venuto, anco tornosse.
Saettò il sol da l'orizzonte i raggi;
sorse Fiammetta, e fece entrare i paggi.

66
Il re disse al compagno motteggiando:
- Frate, molto camin fatto aver déi;
e tempo è ben che ti riposi, quando
stato a cavallo tutta notte sei. -
Iocondo a lui rispose di rimando,
e disse: - Tu di' quel ch'io a dire avrei.
A te tocca posare, e pro ti faccia,
che tutta notte hai cavalcato a caccia. -

67
- Anch'io (suggiunse il re) senza alcun fallo
lasciato avria il mio can correre un tratto,
se m'avessi prestato un po' il cavallo,
tanto che 'l mio bisogno avessi fatto. -
Iocondo replicò: - Son tuo vasallo,
e puoi far meco e rompere ogni patto:
sì che non convenia tal cenni usare;
ben mi potevi dir: lasciala stare. -

68
Tanto replica l'un, tanto soggiunge
l'altro, che sono a grave lite insieme.
Vengon da' motti ad un parlar che punge,
ch'ad amenduo l'esser beffato preme.
Chiaman Fiammetta (che non era lunge,
e de la fraude esser scoperta teme)
per fare in viso l'uno all'altro dire
quel che negando ambi parean mentire.

69
- Dimmi (le disse il re con fiero sguardo),
e non temer di me né di costui;
chi tutta notte fu quel sì gagliardo,
che ti godé senza far parte altrui? -
Credendo l'un provar l'altro bugiardo,
la risposta aspettavano ambedui.
Fiammetta a' piedi lor si gittò, incerta
di viver più, vedendosi scoperta.

70
Domandò lor perdono, che d'amore
ch'a un giovinetto avea portato, spinta,
e da pietà d'un tormentato core
che molto avea per lei patito, vinta,
caduta era la notte in quello errore;
e seguitò, senza dir cosa finta,
come tra lor con speme si condusse,
ch'ambi credesson che 'l compagno fusse.

71
Il re e Iocondo si guardaro in viso,
di maraviglia e di stupor confusi;
né d'aver anco udito lor fu aviso,
ch'altri duo fusson mai così delusi.
Poi scoppiaro ugualmente in tanto riso,
che con la bocca aperta e gli occhi chiusi,
potendo a pena il fiato aver del petto,
a dietro si lasciar cader sul letto.

72
Poi ch'ebbon tanto riso, che dolere
se ne sentiano il petto, e pianger gli occhi,
disson tra lor: - Come potremo avere
guardia, che la moglier non ne l'accocchi,
se non giova tra duo questa tenere,
e stretta sì, che l'uno e l'altro tocchi?
Se più che crini avesse occhi il marito,
non potria far che non fosse tradito.

73
Provate mille abbiamo, e tutte belle;
né di tante una è ancor che ne contraste.
Se provian l'altre, fian simili anch'elle;
ma per ultima prova costei baste.
Dunque possiamo creder che più felle
non sien le nostre, o men de l'altre caste:
e se son come tutte l'altre sono,
che torniamo a godercile fia buono. -

74
Conchiuso ch'ebbon questo, chiamar fero
per Fiammetta medesima il suo amante;
e in presenza di molti gli la diero
per moglie, e dote gli fu bastante.
Poi montaro a cavallo, e il lor sentiero
ch'era a ponente, volsero a levante;
ed alle mogli lor se ne tornaro,
di ch'affanno mai più non si pigliaro. -

75
L'ostier qui fine alla sua istoria pose,
che fu con molta attenzione udita.
Udilla il Saracin, né gli rispose
parola mai, fin che non fu finita.
Poi disse: - Io credo ben che de l'ascose
feminil frode sia copia infinita;
né si potria de la millesma parte
tener memoria con tutte le carte. -

76
Quivi era un uom d'età, ch'avea più retta
opinion degli altri, e ingegno e ardire;
e non potendo ormai, che sì negletta
ogni femina fosse, più patire,
si volse a quel ch'avea l'istoria detta,
e gli disse: - Assai cose udimo dire,
che veritade in sé non hanno alcuna:
e ben di queste è la tua favola una.

77
A chi te la narrò non do credenza,
s'evangelista ben fosse nel resto;
ch'opinione, più ch'esperienza
ch'abbia di donne, lo facea dir questo.
L'avere ad una o due malivolenza,
fa ch'odia e biasma l'altre oltre all'onesto;
ma se gli passa l'ira, io vo' tu l'oda,
più ch'ora biasmo, anco dar lor gran loda.

78
E se vorrà lodarne, avra maggiore
il campo assai, ch'a dirne mal non ebbe:
di cento potrà dir degne d'onore
verso una trista che biasmar si debbe.
Non biasmar tutte, ma serbarne fuore
la bontà d'infinite si dovrebbe;
e se 'l Valerio tuo disse altrimente,
disse per ira, e non per quel che sente.

79
Ditemi un poco: è di voi forse alcuno
ch'abbia servato alla sua moglie fede?
che nieghi andar, quando gli sia oportuno,
all'altrui donna, e darle ancor mercede?
credete in tutto 'l mondo trovarne uno?
chi 'l dice, mente; e folle è ben chi 'l crede.
Trovatene vo' alcuna che vi chiami?
(non parlo de le publiche ed infami).

80
Conoscete alcun voi, che non lasciasse
la moglie sola, ancor che fosse bella,
per seguire altra donna, se sperasse
in breve e facilmente ottener quella?
Che farebbe egli, quando lo pregasse
o desse premio a lui donna o donzella?
Credo, per compiacere or queste or quelle,
che tutti lasciaremmovi la pelle.

81
Quelle che i lor mariti hanno lasciati,
le più volte cagione avuta n'hanno.
Del suo di casa, li veggon svogliati,
e che fuor, de l'altrui bramosi, vanno.
Dovriano amar, volendo essere amati,
e tor con la misura ch'a lor danno.
Io farei (se a me stesse il darla e torre)
tal legge, ch'uom non vi potrebbe opporre.

82
Saria la legge, ch'ogni donna colta
in adulterio, fosse messa a morte,
se provar non potesse ch'una volta
avesse adulterato il suo consorte:
se provar lo potesse, andrebbe asciolta,
né temeria il marito né la corte.
Cristo ha lasciato nei precetti suoi:
non far altrui quel che patir non vuoi.

83
La incontinenza è quanto mal si puote
imputar lor, non già a tutto lo stuolo.
Ma in questo chi ha di noi più brutte note?
che continente non si trova un solo.
E molto più n'ha ad arrossir le gote,
quando bestemmia, ladroneccio, dolo,
usura ed omicidio, e se v'è peggio,
raro, se non dagli uomini, far veggio. -

84
Appresso alle ragioni avea il sincero
e giusto vecchio in pronto alcuno esempio
di donne, che né in fatto né in pensiero
mai di lor castità patiron scempio.
Ma il Saracin, che fuggia udire il vero,
lo minacciò con viso crudo ed empio,
sì che lo fece per timor tacere;
ma già non lo mutò di suo parere.

85
Posto ch'ebbe alle liti e alle contese
termine il re pagan, lasciò la mensa;
indi nel letto per dormir si stese
fin al partir de l'aria scura e densa:
ma de la notte, a sospirar l'offese
più de la donna ch'a dormir, dispensa.
Quindi parte all'uscir del nuovo raggio,
e far disegna in nave il suo viaggio.

86
Però ch'avendo tutto quel rispetto
ch'a buon cavallo dee buon cavalliero,
a quel suo bello e buono, ch'a dispetto
tenea di Sacripante e di Ruggiero;
vedendo per duo giorni averlo stretto
più che non si dovria sì buon destriero,
lo pon, per riposarlo, e lo rassetta
in una barca, e per andar più in fretta.

87
Senza indugio al nocchier varar la barca,
e dar fa i remi all'acqua da la sponda.
Quella, non molto grande e poco carca,
se ne va per la Sonna giù a seconda.
Non fugge il suo pensier né se ne scarca
Rodomonte per terra né per onda:
lo trova in su la proda e in su la poppa;
e se cavalca, il porta dietro in groppa.

88
Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
e di fuor caccia ogni conforto e serra.
Di ripararsi il misero non vede,
da poi che gli nimici ha ne la terra.
Non sa da chi sperar possa mercede,
se gli fanno i domestici suoi guerra:
la notte e 'l giorno e sempre è combattuto
da quel crudel che dovria dargli aiuto.

89
Naviga il giorno e la notte seguente
Rodomonte col cor d'affanni grave;
e non si può l'ingiuria tor di mente,
che da la donna e dal suo re avuto have;
e la pena e il dolor medesmo sente,
che sentiva a cavallo, ancora in nave:
né spegner può, per star ne l'acqua, il fuoco,
né può stato mutar, per mutar loco.

90
Come l'infermo, che dirotto e stanco
di febbre ardente, va cangiando lato;
o sia su l'uno o sia su l'altro fianco
spera aver, se si volge, miglior stato;
né sul destro riposa né sul manco,
e per tutto ugualmente è travagliato:
così il pagano al male ond'era infermo
mal trova in terra e male in acqua schermo.

91
Non puote in nave aver più pazienza,
e si fa porre in terra Rodomonte.
Lion passa e Vienna, indi Valenza
e vede in Avignone il ricco ponte;
che queste terre ed altre ubidienza,
che son tra il fiume e 'l celtibero monte,
rendean al re Agramante e al re di Spagna
dal dì che fur signor de la campagna.

92
Verso Acquamorta a man dritta si tenne
con animo in Algier passare in fretta;
e sopra un fiume ad una villa venne
e da Bacco e da Cerere diletta,
che per le spesse ingiurie, che sostenne
dai soldati, a votarsi fu costretta.
Quinci il gran mare, e quindi ne l'apriche
valli vede ondeggiar le bionde spiche.

93
Quivi ritrova una piccola chiesa
di nuovo sopra un monticel murata,
che poi ch'intorno era la guerra accesa,
i sacerdoti vota avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte presa;
che pel sito, e perch'era sequestrata
dai campi, onde avea in odio udir novella,
gli piacque sì, che mutò Algieri in quella.

94
Mutò d'andare in Africa pensiero,
sì commodo gli parve il luogo e bello.
Famigli e carriaggi e il suo destriero
seco alloggiar fe' nel medesmo ostello.
Vicino a poche leghe a Mompoliero
e ad alcun altro ricco e buon castello
siede il villaggio allato alla riviera;
sì che d'avervi ogn'agio il modo v'era.

95
Standovi un giorno il Saracin pensoso
(come pur era il più del tempo usato),
vide venir per mezzo un prato erboso,
che d'un piccol sentiero era segnato,
una donzella di viso amoroso
in compagnia d'un monaco barbato;
e si traeano dietro un gran destriero
sotto una soma coperta di nero.

96
Chi la donzella, chi 'l monaco sia,
chi portin seco, vi debbe esser chiaro.
Conoscere Issabella si dovria,
che 'l corpo avea del suo Zerbino caro.
Lasciai che vêr Provenza ne venìa
sotto la scorta del vecchio preclaro,
che le avea persuaso tutto il resto
dicare a Dio del suo vivere onesto.

97
Come ch'in viso pallida e smarrita
sia la donzella ed abbia i crini inconti;
e facciano i sospir continua uscita
del petto acceso, e gli occhi sien duo fonti;
ed altri testimoni d'una vita
misera e grave in lei si veggan pronti;
tanto però di bello anco le avanza,
che con le Grazie Amor vi può aver stanza.

98
Tosto che 'l Saracin vide la bella
donna apparir, messe il pensiero al fondo,
ch'avea di biasmar sempre e d'odiar quella
schiera gentil che pur adorna il mondo.
E ben gli par dignissima Issabella,
in cui locar debba il suo amor secondo,
e spenger totalmente il primo, a modo
che da l'asse si trae chiodo con chiodo.

99
Incontra se le fece, e col più molle
parlar che seppe, e col miglior sembiante,
di sua condizione domandolle;
ed ella ogni pensier gli spiegò inante;
come era per lasciare il mondo folle,
e farsi amica a Dio con opre sante.
Ride il pagano altier ch'in Dio non crede,
d'ogni legge nimico e d'ogni fede.

100
E chiama intenzione erronea e lieve,
e dice che per certo ella troppo erra;
né men biasmar che l'avaro si deve,
che 'l suo ricco tesor metta sotterra:
alcuno util per sé non ne riceve,
e da l'uso degli altri uomini il serra.
Chiuder leon si denno, orsi e serpenti,
e non le cose belle ed innocenti.

101
Il monaco, ch'a questo avea l'orecchia,
e per soccorrer la giovane incauta,
che ritratta non sia per la via vecchia,
sedea al governo qual pratico nauta,
quivi di spiritual cibo apparecchia
tosto una mensa sontuosa e lauta.
Ma il Saracin, che con mal gusto nacque,
non pur la saporò, che gli dispiacque:

102
e poi ch'invano il monaco interroppe,
e non poté mai far sì che tacesse,
e che di pazienza il freno roppe,
le mani adosso con furor gli messe.
Ma le parole mie parervi troppe
potriano omai, se più se ne dicesse:
sì che finirò il canto; e mi fia specchio
quel che per troppo dire accade al vecchio.


CANTO VENTINOVESIMO


1
O degli uomini inferma e instabil mente!
come siàn presti a variar disegno!
Tutti i pensier mutamo facilmente,
più quei che nascon d'amoroso sdegno.
Io vidi dianzi il Saracin sì ardente
contra le donne, e passar tanto il segno,
che non che spegner l'odio, ma pensai
che non dovesse intiepidirlo mai.

2
Donne gentil, per quel ch'a biasmo vostro
parlò contra il dover, sì offeso sono,
che sin che col suo mal non gli dimostro
quanto abbia fatto error, non gli perdono.
Io farò sì con penna e con inchiostro,
ch'ognun vedrà che gli era utile e buono
aver taciuto, e mordersi anco poi
prima la lingua, che dir mal di voi.

3
Ma che parlò come ignorante e sciocco,
ve lo dimostra chiara esperienza.
Incontra tutte trasse fuor lo stocco
de l'ira, senza farvi differenza:
poi d'Issabella un sguardo sì l'ha tocco,
che subito gli fa mutar sentenza.
Già in cambio di quell'altra la disia,
l'ha vista a pena, e non sa ancor chi sia.

4
E come il nuovo amor lo punge e scalda,
muove alcune ragion di poco frutto,
per romper quella mente intera e salda
ch'ella avea fissa al Creator del tutto.
Ma l'eremita che l'è scudo e falda,
perché il casto pensier non sia distrutto,
con argumenti più validi e fermi,
quanto più può, le fa ripari e schermi.

5
Poi che l'empio pagan molto ha sofferto
con lunga noia quel monaco audace,
e che gli ha detto invan ch'al suo deserto
senza lei può tornar quando gli piace;
e che nuocer si vede a viso aperto,
e che seco non vuol triegua né pace:
la mano al mento con furor gli stese,
e tanto ne pelò, quanto ne prese.

6
E sì crebbe la furia, che nel collo
con man lo stringe a guisa di tanaglia;
e poi ch'una e due volte raggirollo,
da sé per l'aria e verso il mar lo scaglia.
Che n'avenisse, né dico né sollo:
varia fama è di lui, né si raguaglia.
Dice alcun che sì rotto a un sasso resta,
che 'l piè non si discerne da la testa;

7
ed altri, ch'a cadere andò nel mare,
ch'era più di tre miglia indi lontano,
e che morì per non saper notare,
fatti assai prieghi e orazioni invano;
altri, ch'un santo lo venne aiutare,
lo trasse al lito con visibil mano.
Di queste, qual si vuol, la vera sia:
di lui non parla più l'istoria mia.

8
Rodomonte crudel, poi che levato
s'ebbe da canto il garrulo eremita,
si ritornò con viso men turbato
verso la donna mesta e sbigottita;
e col parlar ch'è fra gli amanti usato,
dicea ch'era il suo core e la sua vita
e 'l suo conforto e la sua cara speme,
ed altri nomi tai che vanno insieme.

9
E si mostrò sì costumato allora,
che non le fece alcun segno di forza.
Il sembiante gentil che l'innamora,
l'usato orgoglio in lui spegne ed ammorza:
e ben che 'l frutto trar ne possa fuora,
passar non però vuole oltre a la scorza;
che non gli par che potesse esser buono,
quando da lei non lo accettasse in dono.

10
E così di disporre a poco a poco
a' suoi piaceri Issabella credea.
Ella, che in sì solingo e strano loco,
qual topo in piede al gatto si vedea,
vorria trovarsi inanzi in mezzo il fuoco;
e seco tuttavolta rivolgea
s'alcun partito, alcuna via fosse atta
a trarla quindi immaculata e intatta.

11
Fa ne l'animo suo proponimento
di darsi con sua man prima la morte,
che 'l barbaro crudel n'abbia il suo intento,
e che le sia cagion d'errar sì forte
contra quel cavallier ch'in braccio spento
l'avea crudele e dispietata sorte;
a cui fatto have col pensier devoto
de la sua castità perpetuo voto.

12
Crescer più sempre l'appetito cieco
vede del re pagan, né sa che farsi.
Ben sa che vuol venire all'atto bieco,
ove i contrasti suoi tutti fien scarsi.
Pur discorrendo molte cose seco,
il modo trovò al fin di ripararsi,
e di salvar la castità sua, come
io vi dirò, con lungo e chiaro nome.

13
Al brutto Saracin, che le venìa
già contra con parole e con effetti
privi di tutta quella cortesia
che mostrata le avea ne' primi detti:
- Se fate che con voi sicura io sia
del mio onor (disse) e ch'io non ne sospetti,
cosa all'incontro vi darò, che molto
più vi varrà, ch'avermi l'onor tolto.

14
Per un piacer di sì poco momento,
di che n'ha sì abondanza tutto 'l mondo,
non disprezzate un perpetuo contento,
un vero gaudio a nullo altro secondo.
Potrete tuttavia ritrovar cento
e mille donne di viso giocondo;
ma chi vi possa dar questo mio dono,
nessuno al mondo, o pochi altri ci sono.

15
Ho notizia d'un'erba, e l'ho veduta
venendo, e so dove trovarne appresso,
che bollita con elera e con ruta
ad un fuoco di legna di cipresso,
e fra mano innocenti indi premuta,
manda un liquor, che, chi si bagna d'esso
tre volte il corpo, in tal modo l'indura,
che dal ferro e dal fuoco l'assicura.

16
Io dico, se tre volte se n'immolla,
un mese invulnerabile si trova.
Oprar conviensi ogni mese l'ampolla;
che sua virtù più termine non giova.
Io so far l'acqua, ed oggi ancor farolla,
ed oggi ancor voi ne vedrete prova:
e vi può, s'io non fallo, esser più grata,
che d'aver tutta Europa oggi acquistata.

17
Da voi domando in guiderdon di questo,
che su la fede vostra mi giuriate
che né in detto né in opera molesto
mai più sarete alla mia castitate. -
Così dicendo, Rodomonte onesto
fe' ritornar; ch'in tanta voluntate
venne ch'inviolabil si facesse,
che più ch'ella non disse, le promesse:

18
e servaralle fin che vegga fatto
de la mirabil acqua esperienza;
e sforzerasse intanto a non fare atto,
a non far segno alcun di violenza.
Ma pensa poi di non tenere il patto,
perché non ha timor né riverenza
di Dio o di santi; e nel mancar di fede
tutta a lui la bugiarda Africa cede.

19
Ad Issabella il re d'Algier scongiuri
di non la molestar fe' più di mille,
pur ch'essa lavorar l'acqua procuri,
che far lo può qual fu già Cigno e Achille.
Ella per balze e per valloni oscuri
da le città lontana e da le ville
ricoglie di molte erbe; e il Saracino
non l'abandona, e l'è sempre vicino.

20
Poi ch'in più parti quant'era a bastanza
colson de l'erbe e con radici e senza,
tardi si ritornaro alla lor stanza;
dove quel paragon di continenza
tutta la notte spende, che l'avanza,
a bollir erbe con molta avertenza:
e a tutta l'opra e a tutti quei misteri
si trova ognor presente il re d'Algieri.

21
Che producendo quella notte in giuoco
con quelli pochi servi ch'eran seco,
sentia, per lo calor del vicin fuoco
ch'era rinchiuso in quello angusto speco,
tal sete, che bevendo or molto or poco,
duo baril votar pieni di greco,
ch'aveano tolto uno o duo giorni inanti
i suoi scudieri a certi viandanti.

22
Non era Rodomonte usato al vino,
perché la legge sua lo vieta e danna:
e poi che lo gustò, liquor divino
gli par, miglior che 'l nettare o la manna;
e riprendendo il rito saracino,
gran tazze e pieni fiaschi ne tracanna.
Fece il buon vino, ch'andò spesso intorno,
girare il capo a tutti come un torno.

23
La donna in questo mezzo la caldaia
dal fuoco tolse, ove quell'erbe cosse;
e disse a Rodomonte: - Acciò che paia
che mie parole al vento non ho mosse,
quella che 'l ver da la bugia dispaia,
e che può dotte far le genti grosse,
te ne farò l'esperienza ancora,
non ne l'altrui, ma nel mio corpo or ora.

24
Io voglio a far il saggio esser la prima
del felice liquor di virtù pieno,
acciò tu forse non facessi stima
che ci fosse mortifero veneno.
Di questo bagnerommi da la cima
del capo giù pel collo e per lo seno:
tu poi tua forza in me prova e tua spada,
se questo abbia vigor, se quella rada.-

25
Bagnossi, come disse, e lieta porse
all'incauto pagano il collo ignudo,
incauto, e vinto anco dal vino forse,
incontra a cui non vale elmo né scudo.
Quel uom bestial le prestò fede, e scorse
sì con la mano e sì col ferro crudo,
che del bel capo, già d'Amore albergo,
fe' tronco rimanere il petto e il tergo.

26
Quel fe' tre balzi; e funne udita chiara
voce, ch'uscendo nominò Zerbino,
per cui seguire ella trovò sì rara
via di fuggir di man del Saracino.
Alma, ch'avesti più la fede cara,
e 'l nome quasi ignoto e peregrino
al tempo nostro, de la castitade,
che la tua vita e la tua verde etade,

27
vattene in pace, alma beata e bella!
Così i miei versi avesson forza, come
ben m'affaticherei con tutta quella
arte che tanto il parlar orna e come,
perché mille e mill'anni e più, novella
sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alla superna sede,
e lascia all'altre esempio di tua fede.

28
All'atto incomparabile e stupendo,
dal cielo il Creator giù gli occhi volse,
e disse: - Più di quella ti commendo,
la cui morte a Tarquinio il regno tolse;
e per questo una legge fare intendo
tra quelle mie, che mai tempo non sciolse,
la qual per le inviolabil'acque giuro
che non muterà seculo futuro.

29
Per l'avvenir vo' che ciascuna ch'aggia
il nome tuo, sia di sublime ingegno,
e sia bella, gentil, cortese e saggia,
e di vera onestade arrivi al segno:
onde materia agli scrittori caggia
di celebrare il nome inclito e degno;
tal che Parnasso, Pindo ed Elicone
sempre Issabella, Issabella risuone. -

30
Dio così disse, e fe' serena intorno
l'aria, e tranquillo il mar più che mai fusse.
Fe' l'alma casta al terzo ciel ritorno,
e in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
quel fier senza pietà nuovo Breusse;
che poi che 'l troppo vino ebbe digesto,
biasmò il suo errore, e ne restò funesto.

31
Placare o in parte satisfar pensosse
a l'anima beata d'Issabella,
se, poi ch'a morte il corpo le percosse,
desse almen vita alla memoria d'ella.
Trovò per mezzo, acciò che così fosse,
di convertirle quella chiesa, quella
dove abitava e dove ella fu uccisa,
in un sepolcro; e vi dirò in che guisa.

32
Di tutti i lochi intorno fa venire
mastri, chi per amore e chi per tema;
e fatto ben seimila uomini unire,
de' gravi sassi i vicin monti scema,
e ne fa una gran massa stabilire,
che da la cima era alla parte estrema
novanta braccia; e vi rinchiude dentro
la chiesa, che i duo amanti have nel centro.

33
Imita quasi la superba mole
che fe' Adriano all'onda tiberina.
Presso al sepolcro una torre alta vuole;
ch'abitarvi alcun tempo si destina.
Un ponte stretto e di due braccia sole
fece su l'acqua che correa vicina.
Lungo il ponte, ma largo era sì poco,
che dava a pena a duo cavalli loco;

34
a duo cavalli che venuti a paro,
o ch'insieme si fossero scontrati:
e non avea né sponda né riparo,
e si potea cader da tutti i lati.
Il passar quindi vuol che costi caro
a guerrieri o pagani o battezzati;
che de le spoglie lor mille trofei
promette al cimiterio di costei.

35
In dieci giorni e in manco fu perfetta
l'opra del ponticel che passa il fiume;
ma non fu già il sepolcro così in fretta,
né la torre condutta al suo cacume:
pur fu levata sì, ch'alla veletta
starvi in cima una guardia avea costume,
che d'ogni cavallier che venìa al ponte,
col corno facea segno a Rodomonte.

36
E quel s'armava, e se gli venìa a opporre
ora su l'una, ora su l'altra riva;
che se 'l guerrier venìa di vêr la torre,
su l'altra proda il re d' Algier veniva.
Il ponticello è il campo ove si corre;
e se 'l destrier poco del segno usciva,
cadea nel fiume, ch'alto era e profondo:
ugual periglio a quel non avea il mondo.

37
Aveasi imaginato il Saracino,
che, per gir spesso a rischio di cadere
dal ponticel nel fiume a capo chino,
dove gli converria molt'acqua bere,
del fallo a che l'indusse il troppo vino,
dovesse netto e mondo rimanere;
come l'acqua, non men che 'l vino, estingua
l'error che fa pel vino o mano o lingua.

38
Molti fra pochi dì vi capitaro:
alcuni la via dritta vi condusse,
ch'a quei che verso Italia o Spagna andaro
altra non era che più trita fusse;
altri l'ardire, e, più che vita caro,
l'onore, a farvi di sé prova indusse.
E tutti, ove acquistar credean la palma,
lasciavan l'arme, e molti insieme l'alma.

39
Di quelli ch'abbattea, s'eran pagani,
si contentava d'aver spoglie ed armi;
e di chi prima furo, i nomi piani
vi facea sopra, e sospendeale ai marmi:
ma ritenea in prigion tutti i cristiani;
e che in Algier poi li mandasse parmi.
Finita ancor non era l'opra, quando
vi venne a capitare il pazzo Orlando.

40
A caso venne il furioso conte
a capitar su questa gran riviera,
dove, come io vi dico, Rodomonte
fare in fretta facea, né finito era
la torre né il sepolcro, e a pena il ponte:
e di tutte arme, fuor che di visiera,
a quell'ora il pagan si trovò in punto,
ch'Orlando al fiume e al ponte è sopragiunto.

41
Orlando (come il suo furor lo caccia)
salta la sbarra e sopra il ponte corre.
Ma Rodomonte con turbata faccia,
a piè, com'era inanzi a la gran torre,
gli grida di lontano e gli minaccia,
né se gli degna con la spada opporre:
Indiscreto villan, ferma le piante,
temerario, importuno ed arrogante!

42
Sol per signori e cavallieri è fatto
il ponte, non per te, bestia balorda. -
Orlando, ch'era in gran pensier distratto,
vien pur inanzi e fa l'orecchia sorda.
- Bisogna ch'io castighi questo matto -
disse il pagano; e con la voglia ingorda
venìa per traboccarlo giù ne l'onda,
non pensando trovar chi gli risponda.

43
In questo tempo una gentil donzella,
per passar sovra il ponte, al fiume arriva,
leggiadramente ornata e in viso bella,
e nei sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda, Signor) quella
che per ogni altra via cercando giva
di Brandimarte, il suo amator, vestigi,
fuor che, dove era, dentro da Parigi.

44
Ne l'arrivar di Fiordiligi al ponte
(che così la donzella nomata era),
Orlando s'attaccò con Rodomonte
che lo volea gittar ne la riviera.
La donna, ch'avea pratica del conte,
subito n'ebbe conoscenza vera:
e restò d'alta maraviglia piena,
de la follia che così nudo il mena.

45
Fermasi a riguardar che fine avere
debba il furor dei duo tanti possenti.
Per far del ponte l'un l'altro cadere
a por tutta lor forza sono intenti.
- Come è ch'un pazzo debba sì valere? -
seco il fiero pagan dice tra' denti;
e qua e là si volge e si raggira,
pieno di sdegno e di superbia e d'ira.

46
Con l'una e l'altra man va ricercando
far nuova presa, ove il suo meglio vede;
or tra le gambe, or fuor gli pone, quando
con arte il destro, e quando il manco piede.
Simiglia Rodomonte intorno a Orlando
lo stolido orso che sveller si crede
l'arbor onde è caduto; e come n'abbia
quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.

47
Orlando, che l'ingegno avea sommerso,
io non so dove, e sol la forza usava,
l'estrema forza a cui per l'universo
nessuno o raro paragon si dava,
cader del ponte si lasciò riverso
col pagano abbracciato come stava.
Cadon nel fiume e vanno al fondo insieme:
ne salta in aria l'onda, e il lito geme.

48
L'acqua gli fece distaccare in fretta.
Orlando è nudo, e nuota com'un pesce:
di qua le braccia, e di là i piedi getta,
e viene a proda; e come di fuor esce,
correndo va, né per mirare aspetta,
se in biasmo o in loda questo gli riesce.
Ma il pagan, che da l'arme era impedito,
tornò più tardo e con più affanno al lito.

49
Sicuramente Fiordiligi intanto


 


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