Orlando Furioso
by
Ludovico Ariosto

Part 20 out of 25



73
E la punizion che qui, secondo
il desiderio mio, non posso darti,
spero l'anima tua ne l'altro mondo
veder patire; ed io starò a mirarti. -
Poi disse, alzando con viso giocondo
i turbidi occhi alle superne parti:
- Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
col buon voler de la tua moglie accetta;

74
ed impetra per me dal Signor nostro
grazia, ch'in paradiso oggi io sia teco.
Se ti dirà che senza merto al vostro
regno anima non vien, di' ch'io l'ho meco;
che di questo empio e scelerato mostro
le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che merti esser puon maggior di questi,
spegner sì brutte e abominose pesti? -

75
Finì il parlare insieme con la vita;
e morta anco parea lieta nel volto
d'aver la crudeltà così punita
di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta, o se seguita
fu da lo spirto di Tanacro sciolto:
fu prevenuta, credo; ch'effetto ebbe
prima il veneno in lui, perché più bebbe.

76
Marganor che cader vede il figliuolo,
e poi restar ne le sue braccia estinto,
fu per morir con lui, dal grave duolo
ch'alla sprovista lo trafisse, vinto.
Duo n'ebbe un tempo, or si ritrova solo:
due femine a quel termine l'han spinto.
La morte a l'un da l'una fu causata;
e l'altra all'altro di sua man l'ha data.

77
Amor, pietà, sdegno, dolore ed ira,
disio di morte e di vendetta insieme
quell'infelice ed orbo padre aggira,
che, come il mar che turbi il vento, freme.
Per vendicarsi va a Drusilla, e mira
che di sua vita ha chiuse l'ore estreme;
e come il punge e sferza l'odio ardente,
cerca offendere il corpo che non sente.

78
Qual serpe che ne l'asta ch'alla sabbia
la tenga fissa, indarno i denti metta;
o qual mastin ch'al ciottolo che gli abbia
gittato il viandante, corra in fretta,
e morda invano con stizza e con rabbia,
né se ne voglia andar senza vendetta:
tal Marganor d'ogni mastin, d'ogni angue
via più crudel, fa contra il corpo esangue.

79
E poi che per stracciarlo e farne scempio
non si sfoga il fellon né disacerba,
vien fra le donne di che è pieno il tempio,
né più l'una de l'altra ci riserba;
ma di noi fa col brando crudo ed empio
quel che fa con la falce il villan d'erba.
Non vi fu alcun ripar, ch'in un momento
trenta n'uccise, e ne ferì ben cento.

80
Egli da la sua gente è sì temuto,
ch'uomo non fu ch'ardisse alzar la testa.
Fuggon le donne col popul minuto
fuor de la chiesa, e chi può uscir, non resta.
Quel pazzo impeto al fin fu ritenuto
dagli amici con prieghi e forza onesta,
e lasciando ogni cosa in pianto al basso,
fatto entrar ne la rocca in cima al sasso.

81
E tuttavia la colera durando,
di cacciar tutte per partito prese;
poi che gli amici e 'l populo pregando,
che non ci uccise a fatto, gli contese:
e quel medesmo dì fe' andare un bando,
che tutte gli sgombrassimo il paese;
e darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al castel più s'avvicine!

82
Da le mogli così furo i mariti,
da le madri così i figli divisi.
S'alcuni sono a noi venire arditi,
nol sappia già chi Marganor n'avisi;
che di multe gravissime puniti
n'ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fatto una legge,
di cui peggior non s'ode né si legge.

83
Ogni donna che trovin ne la valle,
la legge vuol (ch'alcuna pur vi cade)
che percuotan con vimini alle spalle,
e la faccian sgombrar queste contrade:
ma scorciar prima i panni, e mostrar falle
quel che Natura asconde ed Onestade;
e s'alcuna vi va, ch'armata scorta
abbia di cavallier, vi resta morta.

84
Quelle c'hanno per scorta cavallieri,
son da questo nimico di pietate,
come vittime, tratte ai cimiteri
dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
e poi caccia in prigion chi l'ha guidate:
e lo può far; che sempre notte e giorno
si trova più di mille uomini intorno.

85
E dir di più vi voglio ancora, ch'esso,
s'alcun ne lascia, vuol che prima giuri
su l'ostia sacra, che 'l femineo sesso
in odio avrà fin che la vita duri.
Se perder queste donne e voi appresso
dunque vi pare, ite a veder quei muri
ove alberga il fellone, e fate prova
s'in lui più forza o crudeltà si trova. -

86
Così dicendo, le guerriere mosse
prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,
che se, come era notte, giorno fosse,
sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse;
e tosto che l'Aurora fece segno
che dar dovesse al Sol loco ogni stella,
ripigliò l'arme e si rimesse in sella.

87
Già sendo in atto di partir, s'udiro
le strade risonar dietro le spalle
d'un lungo calpestio, che gli occhi in giro
fece a tutti voltar giù ne la valle.
E lungi quanto esser potrebbe un tiro
di mano, andar per uno istretto calle
vider da forse venti armati in schiera,
di che parte in arcion, parte a pied'era;

88
e che traean con lor sopra un cavallo
donna ch'al viso aver parea molt'anni,
a guisa che si mena un che per fallo
a fuoco o a ceppo o a laccio si condanni:
la qual fu, non ostante l'intervallo,
tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber queste de la villa
esser la cameriera di Drusilla:

89
la cameriera che con lei fu presa
dal rapace Tanacro, come ho detto,
ed a chi fu dipoi data l'impresa
di quel venen che fe' 'l crudele effetto.
Non era entrata ella con l'altre in chiesa;
che di quel che seguì stava in sospetto:
anzi in quel tempo, de la villa uscita,
ove esser sperò salva, era fugita.

90
Avuto Marganor poi di lei spia,
la qual s'era ridotta in Ostericche,
non ha cessato mai di cercar via
come in man l'abbia, acciò l'abruci o impicche:
e finalmente l'Avarizia ria,
mossa da doni e da proferte ricche,
ha fatto ch'un baron, ch'assicurata
l'avea in sua terra, a Marganor l'ha data:

91
e mandata glie l'ha fin a Costanza
sopra un somier, come la merce s'usa,
legata e stretta, e toltole possanza
di far parole, e in una cassa chiusa:
onde poi questa gente l'ha ad istanza
de l'uom ch'ogni pietade ha da sé esclusa,
quivi condotta con disegno ch'abbia
l'empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.

92
Come il gran fiume che di Vesulo esce,
quanto più inanzi e verso il mar discende,
e che con lui Lambra e Ticin si mesce,
ed Ada e gli altri onde tributo prende,
tanto più altiero e impetuoso cresce;
così Ruggier, quante più colpe intende
di Marganor, così le due guerriere
se gli fan contra più sdegnose e fiere.

93
Elle fur d'odio, elle fur d'ira tanta
contra il crudel, per tante colpe, accese,
che di punirlo, mal grado di quanta
gente egli avea, conclusion si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
pena lor parve e indegna a tante offese;
ed era meglio fargliela sentire,
fra strazio prolungandola e martìre.

94
Ma prima liberar la donna è onesto,
che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia col calcagno presto
fece a' presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
uno incontro più acerbo né più forte;
sì che han di grazia di lasciar gli scudi
e la donna e l'arnese, e fuggir nudi:

95
sì come il lupo che di preda vada
carco alla tana, e quando più si crede
d'esser sicur, dal cacciator la strada
e da' suoi cani attraversar si vede,
getta la soma, e dove appar men rada
la scura macchia inanzi, affretta il piede.
Già men presti non fur quelli a fuggire,
che li fusson quest'altri ad assalire.

96
Non pur la donna e l'arme vi lasciaro,
ma de' cavalli ancor lasciaron molti,
e da rive e da grotte si lanciaro,
parendo lor così d'esser più sciolti.
Il che alle donne ed a Ruggier fu caro;
che tre di quei cavalli ebbono tolti
per portar quelle tre che 'l giorno d'ieri
feron sudar le groppe ai tre destrieri.

97
Quindi espediti segueno la strada
verso l'infame e dispietata villa.
Voglion che seco quella vecchia vada,
per veder la vendetta di Drusilla.
Ella che teme che non ben le accada,
lo niega indarno, e piange e grida e strilla;
ma per forza Ruggier la leva in groppa
del buon Frontino, e via con lei galoppa.

98
Giunseno in somma onde vedeano al basso
di molte case un ricco borgo e grosso,
che non serrava d'alcun lato il passo,
perché né muro intorno avea né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso
ch'un'alta rocca sostenea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza,
ch'esser sapean di Marganor la stanza.

99
Tosto che son nel borgo, alcuni fanti
che v'erano alla guardia de l'entrata,
dietro chiudon la sbarra, e già davanti
veggion che l'altra uscita era serrata:
ed ecco Marganorre, e seco alquanti
a piè e a cavallo, e tutta gente armata;
che con brevi parole, ma orgogliose,
la ria costuma di sua terra espose.

100
Marfisa, la qual prima avea composta
con Bradamante e con Ruggier la cosa,
gli spronò incontro in cambio di risposta;
e com'era possente e valorosa,
senza ch'abbassi lancia, o che sia posta
in opra quella spada sì famosa,
col pugno in guisa l'elmo gli martella,
che lo fa tramortir sopra la sella.

101
Con Marfisa la giovane di Francia
spinge a un tempo il destrier, né Ruggier resta
ma con tanto valor corre la lancia,
che sei, senza levarsela di resta,
n'uccide, uno ferito ne la pancia,
duo nel petto, un nel collo, un ne la testa:
nel sesto che fuggia l'asta si roppe,
ch'entrò alle schene e riuscì alle poppe.

102
La figliuola d'Amon quanti ne tocca
con la sua lancia d'or, tanti n'atterra:
fulmine par, che 'l cielo ardendo scocca,
che ciò ch'incontra, spezza e getta a terra.
Il popul sgombra, chi verso la rocca,
chi verso il piano; altri si chiude e serra,
chi ne le chiese e chi ne le sue case;
né, fuor che morti, in piazza uomo rimase.

103
Marfisa Marganorre avea legato
intanto con le man dietro alle rene,
ed alla vecchia di Drusilla dato,
ch'appagata e contenta se ne tiene.
D'arder quel borgo poi fu ragionato,
s'a penitenza del suo error non viene:
levi la legge ria di Marganorre,
e questa accetti, ch'essa vi vuol porre.

104
Non fu già d'ottener questo fatica;
con quella gente, oltre al timor ch'avea
che più faccia Marfisa che non dica,
ch'uccider tutti ed abbruciar volea,
di Marganorre affatto era nimica
e de la legge sua crudele e rea.
Ma 'l populo facea come i più fanno,
ch'ubbidiscon più a quei che più in odio hanno.

105
Però che l'un de l'altro non si fida,
e non ardisce conferir sua voglia,
lo lascian ch'un bandisca, un altro uccida,
a quel l'avere, a questo l'onor toglia.
Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida,
fin che Dio e santi alla vendetta invoglia;
la qual, se ben tarda a venir, compensa
l'indugio poi con punizione immensa.

106
Or quella turba d'ira e d'odio pregna
con fatti e con mal dir cerca vendetta:
com'è in proverbio, ognun corre a far legna
all'arbore che 'l vento in terra getta.
Sia Marganorre esempio di chi regna;
che chi mal opra, male al fine aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
peccati, avean piacer piccioli e grandi.

107
Molti a chi fur le mogli o le sorelle
o le figlie o le madri da lui morte,
non più celando l'animo ribelle,
correan per dargli di lor man la morte:
e con fatica lo difeser quelle
magnanime guerriere e Ruggier forte;
che disegnato avean farlo morire
d'affanno, di disagio e di martire.

108
A quella vecchia che l'odiava quanto
femina odiare alcun nimico possa,
nudo in mano lo dier, legato tanto,
che non si scioglierà per una scossa;
ed ella, per vendetta del suo pianto,
gli andò facendo la persona rossa
con un stimulo aguzzo ch'un villano,
che quivi si trovò, le pose in mano.

109
La messaggera e le sue giovani anco,
che quell'onta non son mai per scordarsi,
non s'hanno più a tener le mani al fianco,
né meno che la vecchia, a vendicarsi;
ma sì è il desir d'offenderlo, che manco
viene il potere, e pur vorrian sfogarsi:
chi con sassi il percuote, chi con l'unge;
altra lo morde, altra cogli aghi il punge.

110
Come torrente che superbo faccia
lunga pioggia talvolta o nievi sciolte,
va ruinoso, e giù da' monti caccia
gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte;
vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia
gli cade, e sì le forze gli son tolte,
ch'un fanciullo, una femina per tutto
passar lo puote, e spesso a piede asciutto:

111
così già fu che Marganorre intorno
fece tremar, dovunque udiasi il nome;
or venuto è chi gli ha spezzato il corno
di tanto orgoglio, e sì le forze dome,
che gli puon far sin a' bambini scorno,
chi pelargli la barba e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
alla rocca voltar, ch'era sul sasso.

112
La diè senza contrasto in poter loro
chi v'era dentro, e così i ricchi arnesi,
ch'in parte messi a sacco, in parte foro
dati ad Ullania ed a' compagni offesi.
Ricovrato vi fu lo scudo d'oro,
e quei tre re ch'avea il tiranno presi,
li quai venendo quivi, come parmi
d'avervi detto, erano a piè senz'armi;

113
perché dal dì che fur tolti di sella
da Bradamante, a piè sempre eran iti
senz'arme, in compagnia de la donzella
la qual venìa da sì lontani liti.
Non so se meglio o peggio fu di quella,
che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
ma peggio assai, se ne perdean l'impresa:

114
perché stata saria, com'eran tutte
quelle ch'armate avean seco le scorte,
al cimitero misere condutte
dei due fratelli, e in sacrificio morte.
Gli è pur men che morir, mostrar le brutte
e disoneste parti, duro e forte;
e sempre questo e ogn'altro obbrobrio amorza
il poter dir che le sia fatto a forza.

115
Prima ch'indi si partan le guerriere,
fan venir gli abitanti a giuramento,
che daranno i mariti alle mogliere
de la terra e del tutto il reggimento;
e castigato con pene severe
sarà chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel ch'altrove è del marito,
che sia qui de la moglie è statuito.

116
Poi si feccion promettere ch'a quanti
mai verrian quivi, non darian ricetto,
o fosson cavallieri, o fosson fanti,
né 'ntrar li lascerian pur sotto un tetto,
se per Dio non giurassino e per santi,
o s'altro giuramento v'è più stretto,
che sarian sempre de le donne amici,
e dei nimici lor sempre nimici;

117
e s'avranno in quel tempo, e se saranno,
tardi o più tosto, mai per aver moglie,
che sempre a quelle sudditi saranno,
e ubbidienti a tutte le lor voglie.
Tornar Marfisa, prima ch'esca l'anno,
disse, e che perdan gli arbori le foglie;
e se la legge in uso non trovasse,
fuoco e ruina il borgo s'aspettasse.

118
Né quindi si partir, che de l'immondo
luogo dov'era, fer Drusilla torre,
e col marito in uno avel, secondo
ch'ivi potean più riccamente porre.
La vecchia facea intanto rubicondo
con lo stimulo il dosso a Marganorre:
sol si dolea di non aver tal lena,
che potesse non dar triegua alla pena.

119
L'animose guerriere a lato un tempio
videno quivi una colonna in piazza,
ne la qual fatt'avea quel tiranno empio
scriver la legge sua crudele e pazza.
Elle, imitando d'un trofeo l'esempio,
lo scudo v'attaccaro e la corazza
di Marganorre e l'elmo; e scriver fenno
la legge appresso, ch'esse al loco denno.

120
Quivi s'indugiar tanto, che Marfisa
fe' por la legge sua ne la colonna,
contraria a quella che già v'era incisa
a morte ed ignominia d'ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
quella d'Islanda, per rifar la gonna;
che comparire in corte obbrobrio stima,
se non si veste ed orna come prima.

121
Quivi rimase Ullania; e Marganorre
di lei restò in potere: ed essa poi,
perché non s'abbia in qualche modo a sciorre,
e le donzelle un'altra volta annoi,
lo fe' un giorno saltar giù d'una torre,
che non fe' il maggior salto a' giorni suoi.
Non più di lei, né più dei suoi si parli,
ma de la compagnia che va verso Arli.

122
Tutto quel giorno, e l'altro fin appresso
l'ora di terza andaro; e poi che furo
giunti dove in due strade è il camin fesso
(l'una va al campo, e l'altra d'Arli al muro),
tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spesso
a tor commiato, e sempre acerbo e duro.
Al fin le donne in campo, e in Arli è gito
Ruggiero; ed io il mio canto ho qui finito.


CANTO TRENTOTTESIMO


1
Cortesi donne, che benigna udienza
date a' miei versi, io vi veggo al sembiante,
che quest'altra sì subita partenza
che fa Ruggier da la sua fida amante,
vi dà gran noia, e avete displicenza
poco minor ch'avesse Bradamante;
e fate anco argumento ch'esser poco
in lui dovesse l'amoroso fuoco.

2
Per ogni altra cagion ch'allontanato
contra la voglia d'essa se ne fusse,
ancor ch'avesse più tesor sperato
che Creso o Crasso insieme non ridusse,
io crederia con voi, che penetrato
non fosse al cor lo stral che lo percusse;
ch'un almo gaudio, un così gran contento
non potrebbe comprare oro né argento.

3
Pur, per salvar l'onor, non solamente
d'escusa, ma di laude è degno ancora;
per salvar, dico, in caso ch'altrimente
facendo, biasmo ed ignominia fôra:
e se la donna fosse renitente
ed ostinata in fargli far dimora,
darebbe di sé indizio e chiaro segno
o d'amar poco o d'aver poco ingegno.

4
Che se l'amante de l'amato deve
la vita amar più de la propria, o tanto
(io parlo d'uno amante a cui non lieve
colpo d'Amor passò più là del manto);
al piacer tanto più, ch'esso riceve,
l'onor di quello antepor deve, quanto
l'onore è di più pregio che la vita,
ch'a tutti altri piaceri è preferita.

5
Fece Ruggiero il debito a seguire
il suo signor, che non se ne potea,
se non con ignominia, dipartire;
che ragion di lasciarlo non avea.
E s'Almonte gli fe' il padre morire,
tal colpa in Agramante non cadea;
ch'in molti effetti avea con Ruggier poi
emendato ogni error dei maggior suoi.

6
Farà Ruggiero il debito a tornare
al suo signore; ed ella ancor lo fece,
che sforzar non lo volse di restare,
come potea, con iterata prece.
Ruggier potrà alla donna satisfare
a un altro tempo, s'or non satisfece:
ma all'onor, chi gli manca d'un momento,
non può in cento anni satisfar né in cento.

7
Torna Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
col parentado avean grande amistanza,
andaro insieme ove re Carlo fatta
la maggior prova avea di sua possanza,
sperando, o per battaglia o per assedio,
levar di Francia così lungo tedio.

8
Di Bradamante, poi che conosciuta
in campo fu, si fe' letizia e festa:
ognun la riverisce e la saluta;
ed ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come udì la sua venuta,
le venne incontra; né Ricciardo resta
né Ricciardetto od altri di sua gente,
e la raccoglion tutti allegramente.

9
Come s'intese poi che la compagna
era Marfisa, in arme sì famosa,
che dal Cataio ai termini di Spagna
di mille chiare palme iva pomposa;
non è povero o ricco che rimagna
nel padiglion: la turba disiosa
vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e preme
sol per veder sì bella coppia insieme.

10
A Carlo riverenti appresentarsi.
Questo fu il primo dì (scrive Turpino)
che fu vista Marfisa inginocchiarsi;
che sol le parve il figlio di Pipino
degno, a cui tanto onor dovesse farsi,
tra quanti, o mai nel popul saracino
o nel cristiano, imperatori e regi
per virtù vide o per ricchezza egregi.

11
Carlo benignamente la raccolse,
e le uscì incontra fuor dei padiglioni;
e che sedesse a lato suo poi volse
sopra tutti re, principi e baroni.
Si diè licenza a chi non se la tolse;
sì che tosto restaro in pochi e buoni:
restaro i paladini e i gran signori;
la vilipesa plebe andò di fuori.

12
Marfisa cominciò con grata voce:
- Eccelso, invitto e glorioso Augusto,
che dal mar Indo alla Tirinzia foce,
dal bianco Scita all'Etiope adusto
riverir fai la tua candida croce,
né di te regna il più saggio o 'l più giusto;
tua fama, ch'alcun termine non serra,
qui tratto m'ha fin da l'estrema terra.

13
E, per narrarti il ver, sola mi mosse
invidia, e sol per farti guerra io venni,
acciò che sì possente un re non fosse,
che non tenesse la legge ch'io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
del cristian sangue; ed altri fieri cenni
era per farti da crudel nimica,
se non cadea chi mi t'ha fatto amica.

14
Quando nuocer pensai più alle tue squadre,
io trovo (e come sia dirò più adagio)
che 'l bon Ruggier di Risa fu mio padre,
tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un mago infin al settimo anno,
a cui gli Arabi poi rubata m'hanno.

15
E mi vendero in Persia per ischiava
a un re che poi cresciuta io posi a morte;
che mia virginità tor mi cercava.
Uccisi lui con tutta la sua corte;
tutta cacciai la sua progenie prava,
e presi il regno; e tal fu la mia sorte,
che diciotto anni d'uno o di due mesi
io non passai, che sette regni presi.

16
E di tua fama invidiosa, come
io t'ho già detto, avea fermo nel core
la grande altezza abbatter del tuo nome:
forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien che questa voglia dome,
e faccia cader l'ale al mio furore,
l'aver inteso, poi che qui son giunta,
come io ti son d'affinità congiunta.

17
E come il padre mio parente e servo
ti fu, ti son parente e serva anch'io:
e quella invidia e quell'odio protervo
il qual io t'ebbi un tempo, or tutto oblio;
anzi contra Agramante io lo riservo,
e contra ogn'altro che sia al padre o al zio
di lui stato parente, che fur rei
di porre a morte i genitori miei. -

18
E seguitò, voler cristiana farsi,
e dopo ch'avrà estinto il re Agramante,
voler piacendo a Carlo, ritornarsi
a battezzare il suo regno in Levante;
ed indi contra tutto il mondo armarsi,
ove Macon s'adori e Trivigante;
e con promission, ch'ogni suo acquisto
sia de l'Impero e de la fé di Cristo.

19
L'imperator, che non meno eloquente
era, che fosse valoroso e saggio,
molto esaltando la donna eccellente,
e molto il padre e molto il suo lignaggio,
rispose ad ogni parte umanamente,
e mostrò in fronte aperto il suo coraggio;
e conchiuse ne l'ultima parola,
per parente accettarla e per figliuola.

20
E qui si leva, e di nuovo l'abbraccia,
e, come figlia, bacia ne la fronte.
vengono tutti con allegra faccia
quei di Mongrana e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir fôra, quanto onor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
vedute avea più volte al paragone,
quando Albracca assediar col suo girone.

21
Lungo a dir fôra, quanto il giovinetto
Guidon s'allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e Sansonetto
ch'alla città crudel furon con lei;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
ch'all'occision de' Maganzesi rei
e di quei venditori empi di Spagna
l'aveano avuta sì fedel compagna.

22
Apparecchiar per lo seguente giorno,
ed ebbe cura Carlo egli medesmo,
che fosse un luogo riccamente adorno,
ove prendesse Marfisa battesmo.
I vescovi e gran chierici d'intorno,
che le leggi sapean del cristianesmo,
fece raccorre, acciò da lor in tutta
la santa fé fosse Marfisa istrutta.

23
Venne in pontificale abito sacro
l'arcivesco Turpino, e battizzolla:
Carlo dal salutifero lavacro
con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è ormai ch'al capo voto e macro
di senno si soccorra con l'ampolla,
con che dal ciel più basso ne venìa
il duca Astolfo sul carro d'Elia.

24
Sceso era Astolfo dal giro lucente
alla maggiore altezza de la terra,
con la felice ampolla che la mente
dovea sanare al gram mastro di guerra.
Un'erba quivi di virtù eccellente
mostra Giovanni al duca d'Inghilterra:
con essa vuol ch'al suo ritorno tocchi
al re di Nubia e gli risani gli occhi;

25
acciò per questi e per li primi merti
gente gli dia con che Biserta assaglia.
E come poi quei populi inesperti
armi ed acconci ad uso di battaglia,
e senza danno passi pei deserti
ove l'arena gli uomini abbarbaglia,
a punto a punto l'ordine che tegna,
tutto il vecchio santissimo gl'insegna.

26
Poi lo fe' rimontar su quello alato
che di Ruggiero, e fu prima d'Atlante.
Il paladin lasciò, licenziato
da San Giovanni, le contrade sante;
e secondando il Nilo a lato a lato,
tosto i Nubi apparir si vide inante;
e ne la terra che del regno è capo
scese da l'aria, e ritrovò il Senapo.

27
Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
che portò a quel signor nel suo ritorno;
che ben si raccordava de la noia
che gli avea tolta, de l'arpie, d'intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
di quello umor che già gli tolse il giorno,
e che gli rende la vista di prima,
l'adora e cole, e come un Dio sublima:

28
sì che non pur la gente che gli chiede
per muover guerra al regno di Biserta,
ma centomila sopra gli ne diede,
e gli fe' ancor di sua persona offerta.
La gente a pena, ch'era tutta a piede,
potea capir ne la campagna aperta;
che di cavalli ha quel paese inopia,
ma d'elefanti e de camelli copia.

29
La notte inanzi il dì che a suo camino
l'esercito di Nubia dovea porse,
montò su l'ippogrifo il paladino,
e verso mezzodì con fretta corse,
tanto che giunse al monte che l'austrino
vento produce e spira contra l'Orse.
Trovò la cava, onde per stretta bocca,
quando si desta, il furioso scocca.

30
E come raccordògli il suo maestro,
avea seco arrecato un utre voto,
il qual, mentre ne l'antro oscuro e alpestro,
affaticato dorme il fiero Noto,
allo spiraglio pon tacito e destro:
ed è l'aguato in modo al vento ignoto,
che, credendosi uscir fuor la dimane,
preso e legato in quello utre rimane.

31
Di tanta preda il paladino allegro,
ritorna in Nubia, e la medesma luce
si pone a caminar col popul negro,
e vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
verso l'Atlante il glorioso duce
pel mezzo vien de la minuta sabbia,
senza temer che 'l vento a nuocer gli abbia.

32
E giunto poi di qua dal giogo, in parte
onde il pian si discuopre e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parte
del campo, e la meglio atta a disciplina;
e qua e là per ordine la parte
a piè d'un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
in vista d'uom ch'a gran pensieri intende.

33
Poi che, inchinando le ginocchia, fece
al santo suo maestro orazione,
sicuro che sia udita la sua prece,
copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto a chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi, fuor di natural ragione
crescendo, si vedean venire in giuso,
e formar ventre e gambe e collo e muso:

34
e con chiari anitrir giù per quei calli
venian saltando, e giunti poi nel piano
scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,
chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba ch'aspettando ne le valli
stava alla posta, lor dava di mano:
sì che in poche ore fur tutti montati;
che con sella e con freno erano nati.

35
Ottantamila cento e dua in un giorno
fe', di pedoni, Astolfo cavallieri.
Con questi tutta scorse Africa intorno,
facendo prede, incendi e prigionieri.
Posto Agramante avea fin al ritorno
il re di Fersa e 'l re degli Algazeri,
col re Branzardo a guardia del paese:
e questi si fer contra al duca inglese;

36
prima avendo spacciato un suttil legno,
ch'a vele e a remi andò battendo l'ali,
ad Agramante aviso, come il regno
patia dal re de' Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
tanto che giunse ai liti provenzali;
e trovò in Arli il suo re mezzo oppresso,
che 'l campo avea di Carlo un miglio appresso.

37
Sentendo il re Agramante a che periglio,
per guadagnare il regno di Pipino,
lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
principi e re del popul saracino.
E poi ch'una o due volte girò il ciglio
quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,
i quai d'ogni altro fur, che vi venisse,
i duo più antiqui e saggi, così disse:

38
- Quantunque io sappia come mal convegna
a un capitano dir: non mel pensai,
pur lo dirò; che quando un danno vegna
da ogni discorso uman lontano assai,
a quel fallir par che sia escusa degna:
e qui si versa il caso mio; ch'errai
a lasciar d'arme l'Africa sfornita,
se da li Nubi esser dovea assalita.

39
Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,
a cui non è cosa futura ignota,
che dovesse venir con sì gran stuolo
a farne danno gente sì remota?
tra i quali e noi giace l'instabil suolo
di quella arena ognor da' venti mota.
Pur è venuta ad assediar Biserta,
ed ha in gran parte l'Africa deserta.

40
Or sopra ciò vostro consiglio chieggio:
se partirmi di qui senza far frutto,
o pur seguir tanto l'impresa deggio,
che prigion Carlo meco abbi condutto;
o come insieme io salvi il nostro seggio,
e questo imperial lasci distrutto.
S'alcun di voi sa dir, priego nol taccia,
acciò si trovi il meglio, e quel si faccia. -

41
Così disse Agramante; e volse gli occhi
al re di Spagna, che gli sedea appresso,
come mostrando di voler che tocchi
di quel c'ha detto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi
per riverenza, e così il capo flesso,
nel suo onorato seggio si raccolse;
indi la lingua a tai parole sciolse:

42
- O bene o mal che la Fama ci apporti,
signor, di sempre accrescere ha in usanza.
Perciò non sarà mai ch'io mi sconforti,
o mai più del dover pigli baldanza
per casi o buoni o rei, che sieno sorti:
ma sempre avrò di par tema e speranza
ch'esser debban minori, e non del modo
ch'a noi per tante lingue venir odo.

43
E tanto men prestar gli debbo fede,
quanto più al verisimile s'oppone.
Or se gli è verisimile si vede,
ch'abbia con tanto numer di persone
posto ne la pugnace Africa il piede
un re di sì lontana regione,
traversando l'arene a cui Cambise
con male augurio il popul suo commise.

44
Crederò ben, che sian gli Arabi scesi
da le montagne, ed abbian dato il guasto,
e saccheggiato, e morti uomini e presi,
ove trovato avran poco contrasto;
e che Branzardo che di quei paesi
luogotenente e viceré è rimasto,
per le decine scriva le migliaia,
acciò la scusa sua più degna paia.

45
Vo' concedergli ancor che sieno i Nubi
per miracol dal ciel forse piovuti:
o forse ascosi venner ne le nubi;
poi che non fur mai per camin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
se ben di più soccorso non l'aiuti?
Il tuo presidio avria ben trista pelle,
quando temesse un populo sì imbelle.

46
Ma se tu mandi ancor che poche navi,
pur che si veggan gli stendardi tuoi,
non scioglieran di qua sì tosto i cavi,
che fuggiranno nei confini suoi
questi, o sien Nubi o sieno Arabi ignavi,
ai quali il ritrovarti qui con noi,
separato pel mar da la tua terra,
ha dato ardir di romperti la guerra.

47
Or piglia il tempo che, per esser senza
il suo nipote Carlo, hai di vendetta:
poi ch'Orlando non c'è, far resistenza
non ti può alcun de la nimica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
l'onorata vittoria che t'aspetta,
volterà il calvo, ove ora il crin ne mostra,
con molto danno e lunga infamia nostra. -

48
Con questo ed altri detti accortamente
l'Ispano persuader vuol nel concilio
che non esca di Francia questa gente,
fin che Carlo non sia spinto in esilio.
Ma il re Sobrin, che vide apertamente
il camino a che andava il re Marsilio,
che più per l'util proprio queste cose,
che pel commun dicea, così rispose:

49
- Quando io ti confortava a stare in pace,
fosse io stato, signor, falso indovino;
o tu, se io dovea pure esser verace,
creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
e non più tosto a Rodomonte audace,
a Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,
li quali ora vorrei qui avere a fronte:
ma vorrei più degli altri Rodomonte,

50
per rinfacciargli che volea di Francia
far quel che si faria d'un fragil vetro,
e in cielo e ne lo 'nferno la tua lancia
seguire, anzi lasciarsela di dietro;
poi nel bisogno si gratta la pancia
ne l'ozio immerso abominoso e tetro:
ed io, che per predirti il vero allora
codardo detto fui, son teco ancora;

51
e sarò sempremai, fin ch'io finisca
questa vita ch'ancor che d'anni grave,
porsi incontra ogni dì per te s'arrisca
a qualunque di Francia più nome have.
Né sarà alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca
di dir che l'opre mie mai fosser prave:
e non han più di me fatto, né tanto,
molti che si donar di me più vanto.

52
Dico così, per dimostrar che quello
ch'io dissi allora, e che ti voglio or dire,
né da viltade vien né da cor fello,
ma d'amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto ch'al paterno ostello,
più tosto che tu pòi, vogli redire;
che poco saggio si può dir colui
che perde il suo per acquistar l'altrui.

53
S'acquisto c'è, tu 'l sai. Trentadui fummo
re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
or, se di nuovo il conto ne rassummo,
c'è a pena il terzo, e tutto 'l resto è morto.
Che non ne cadan più, piaccia a Dio summo:
ma se tu vuoi seguir, temo di corto,
che non ne rimarrà quarto né quinto;
e 'l miser popul tuo fia tutto estinto.

54
Ch'Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove
siàn pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
se ben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
mostra che non minor d'Orlando sia:
c'è il suo lignaggio e tutti i paladini,
timore eterno a' nostri Saracini.

55
Ed hanno appresso quel secondo Marte
(ben che i nimici al mio dispetto lodo),
io dico il valoroso Brandimarte,
non men d'Orlando ad ogni prova sodo;
del qual provata ho la virtude in parte,
parte ne veggo all'altrui spese ed odo.
Poi son più dì che non c'è Orlando stato;
e più perduto abbiàn che guadagnato.

56
Se per adietro abbiàn perduto, io temo
che da qui inanzi perderen più in grosso.
Del nostro campo Mandricardo è scemo:
Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso:
Marfisa n'ha lasciata al punto estremo,
e così il re d' Algier, di cui dir posso
che, se fosse fedel come gagliardo,
poco uopo era Gradasso o Mandricardo.

57
Ove sono a noi tolti questi aiuti,
e tante mila son dei nostri morti;
e quei ch'a venir han, son già venuti,
né s'aspetta altro legno che n'apporti:
quattro son giunti a Carlo, non tenuti
manco d'Orlando o di Rinaldo forti;
e con ragion; che da qui sino a Battro
potresti mal trovar tali altri quattro.

58
Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
e Sansonetto e i figli d'Oliviero.
Di questi fo più stima e più tema aggio,
che d'ogni altro lor duca e cavalliero
che di Lamagna o d'altro stran linguaggio
sia contra noi per aiutar l'Impero:
ben ch'importa anco assai la gente nuova
ch' a' nostri danni in campo si ritrova.

59
Quante volte uscirai alla campagna,
tanto avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perdé il campo Africa e Spagna,
quando siàn stati sedici per otto,
che sarà poi ch'Italia e che Lamagna
con Francia è unita, e 'l populo anglo e scotto,
e che sei contra dodici saranno?
Ch'altro si può sperar, che biasmo e danno?

60
La gente qui, là perdi a un tempo il regno,
s'in questa impresa più duri ostinato;
ove, s'al ritornar muti disegno,
l'avanzo di noi servi con lo stato.
Lasciar Marsilio è di te caso indegno,
ch'ognun te ne terrebbe molto ingrato:
ma c'è rimedio, far con Carlo pace;
ch'a lui deve piacer, se a te pur piace.

61
Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,
se tu, che prima offeso sei, la chiedi;
e la battaglia più ti sta nel core,
che, come sia fin qui successa, vedi;
studia almen di restarne vincitore:
il che forse averrà, se tu mi credi;
se d'ogni tua querela a un cavalliero
darai l'assunto, e se quel fia Ruggiero.

62
Io 'l so, e tu 'l sai che Ruggier nostro è tale,
che già da solo a sol con l'arme in mano
non men d'Orlando o di Rinaldo vale,
né d'alcun altro cavallier cristiano.
Ma se tu vuoi far guerra universale,
ancor che 'l valor suo sia sopraumano,
egli però non sarà più ch'un solo,
ed avrà di par suoi contra uno stuolo.

63
A me par, s'a te par, ch'a dir si mandi
al re cristian, che per finir le liti,
e perché cessi il sangue che tu spandi
ognor de' suoi, egli de' tuo' infiniti;
che contra un tuo guerrier tu gli domandi
che metta in campo uno dei suoi più arditi;
e faccian questi duo tutta la guerra,
fin che l'un vinca, e l'altro resti in terra:

64
con patto, che qual d'essi perde, faccia
che 'l suo re all'altro re tributo dia.
Questa condizion non credo spiaccia
a Carlo, ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido sì ne le robuste braccia
poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
e ragion tanta è da la nostra parte,
che vincerà, s'avesse incontra Marte. -

65
Con questi ed altri più efficaci detti
fece Sobrin sì che 'l partito ottenne;
e gl'interpreti fur quel giorno eletti,
e quel dì a Carlo l'imbasciata venne.
Carlo ch'avea tanti guerrier perfetti,
vinta per sé quella battaglia tenne,
di cui l'impresa al buon Rinaldo diede,
in ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.

66
Di questo accordo lieto parimente
l'uno esercito e l'altro si godea;
che 'l travaglio del corpo e de la mente
tutti avea stanchi e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
de la sua vita disegnato avea;
ognun maledicea l'ire e i furori
ch'a risse e a gare avean lor desti i cori.

67
Rinaldo che esaltar molto si vede,
che Carlo in lui di quel che tanto pesa,
via più ch'in tutti gli altri, ha avuto fede,
lieto si mette all'onorata impresa.
Ruggier non stima; e veramente crede
che contra sé non potrà far difesa:
che suo pari esser possa non gli è aviso,
se ben in campo ha Mandricardo ucciso.

68
Ruggier da l'altra parte, ancor che molto
onor gli sia che 'l suo re l'abbia eletto,
e pel miglior di tutti i buoni tolto,
a cui commetta un sì importante effetto;
pur mostra affanno e gran mestizia in volto,
non per paura che gli turbi il petto;
che non ch'un sol Rinaldo, ma non teme
se fosse con Rinaldo Orlando insieme:

69
ma perché vede esser di lui sorella
la sua cara e fidissima consorte
ch'ognor scriver do stimula e martella,
come colei ch'è ingiuriata forte.
Or s'alle vecchie offese aggiunge quella
d'entrare in campo a porle il frate a morte,
se la farà, d'amante, così odiosa,
ch'a placarla mai più fia dura cosa.

70
Se tacito Ruggier s'affligge ed ange
de la battaglia che mal grado prende,
la sua cara moglier lacrima e piange,
come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e l'auree chiome frange,
e le guance innocenti irriga e offende;
e chiama con ramarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele.

71
D'ogni fin che sortisca la contesa,
a lei non può venir altro che doglia.
Ch'abbia a morir Ruggiero in questa impresa,
pensar non vuol; che par che 'l cor le toglia.
Quando anco, per punir più d'una offesa,
la ruina di Francia Cristo voglia,
oltre che sarà morto il suo fratello,
seguirà un danno a lei più acerbo e fello:

72
che non potrà, se non con biasmo e scorno,
e nimicizia di tutta sua gente,
fare al marito suo mai più ritorno,
sì che lo sappia ognun publicamente,
come s'avea, pensando notte e giorno,
più volte disegnato ne la mente:
e tra lor era la promessa tale,
che 'l ritrarsi e il pentir più poco vale.

73
Ma quella usata ne le cose avverse
di non mancarle di soccorsi fidi,
dico Melissa maga, non sofferse
udirne il pianto e i dolorosi gridi;
e venne a consolarla, e le proferse,
quando ne fosse il tempo, alti sussidi,
e disturbar quella pugna futura
di ch'ella piange e si pon tanta cura.

74
Rinaldo intanto e l'inclito Ruggiero
apparechiavan l'arme alla tenzone,
di cui dovea l'eletta al cavalliero
che del romano Imperio era campione:
e come quel, che poi che 'l buon destriero
perdé Baiardo, andò sempre pedone,
si elesse a piè, coperto a piastra e a maglia,
con l'azza e col pugnal far la battaglia.

75
O fosse caso, o fosse pur ricordo
di Malagigi suo provido e saggio,
che sapea quanto Balisarda ingordo
il taglio avea di fare all'arme oltraggio;
combatter senza spada fur d'accordo
l'uno e l'altro guerrier, come detto aggio.
Del luogo s'accordar presso alle mura
de l'antiquo Arli, in una gran pianura.

76
A pena avea la vigilante Aurora
da l'ostel di Titon fuor messo il capo,
per dare al giorno terminato, e all'ora
ch'era prefissa alla battaglia, capo;
quando di qua e di là vennero fuora
i deputati; e questi in ciascun capo
degli steccati i padiglion tiraro,
appresso ai quali ambi un altar fermaro.

77
Non molto dopo, istrutto a schiera a schiera,
si vide uscir l'esercito pagano.
In mezzo armato e suntuoso v'era
di barbarica pompa il re africano;
e s'un baio corsier di chioma nera,
di fronte bianca, e di duo piè balzano,
a par a par con lui venìa Ruggiero,
a cui servir non è Marsilio altiero.

78
L'elmo, che dianzi con travaglio tanto
trasse di testa al re di Tartaria,
l'elmo, che celebrato in maggior canto
portò il troiano Ettòr mill'anni pria,
gli porta il re Marsilio a canto a canto:
altri principi ed altra baronia
s'hanno partite l'altr'arme fra loro,
ricche di gioie e ben fregiate d'oro.

79
Da l'altra parte fuor dei gran ripari
re Carlo uscì con la sua gente d'arme,
con gli ordini medesmi e modi pari
che terria se venisse al fatto d'arme.
Cingonlo intorno i suoi famosi pari;
e Rinaldo è con lui con tutte l'arme,
fuor che l'elmo che fu del re Mambrino,
che porta Ugier Danese paladino.

80
E di due azze ha il duca Namo l'una,
e l'altra Salamon re di Bretagna.
Carlo da un lato i suoi tutti raguna;
da l'altro son quei d'Africa e di Spagna.
Nel mezzo non appar persona alcuna:
voto riman gran spazio di campagna,
che per bando commune a chi vi sale,
eccetto ai duo guerrieri, è capitale.

81
Poi che de l'arme la seconda eletta
si diè al campion del populo pagano,
duo sacerdoti, l'un de l'una setta,
l'altro de l'altra, uscir coi libri in mano.
In quel del nostro è la vita perfetta
scritta di Cristo; e l'altro è l'Alcorano.
Con quel de l'Evangelio si fe' inante
l'imperator, con l'altro il re Agramante.

82
Giunto Carlo all'altar che statuito
i suoi gli aveano, al ciel levò le palme,
e disse: - O Dio, c'hai di morir patito
per redimer da morte le nostr'alme;
o Donna, il cui valor fu sì gradito,
che Dio prese da te l'umane salme,
e nove mesi fu nel tuo santo alvo,
sempre serbando il fior virgineo salvo:

83
siatemi testimoni, ch'io prometto
per me e per ogni mia successione
al re Agramante, ed a chi dopo eletto
sarà al governo di sua regione,
dar venti some ogni anno d'oro schietto,
s'oggi qui riman vinto il mio campione;
e ch'io prometto subito la triegua
incominciar, che poi perpetua segua:

84
e se 'n ciò manco, subito s'accenda
la formidabil ira d'ambidui,
la qual me solo e i miei figliuoli offenda,
non alcun altro che sia qui con nui;
sì che in brevissima ora si comprenda
che sia il mancar de la promessa a vui. -
Così dicendo, Carlo sul Vangelo
tenea la mano, e gli occhi fissi al cielo.

85
Si levan quindi, e poi vanno all'altare
che riccamente avean pagani adorno;
ove giurò Agramante, ch'oltre al mare
con l'esercito suo faria ritorno,
ed a Carlo daria tributo pare,
se restasse Ruggier vinto quel giorno;
e perpetua tra lor triegua saria,
coi patti ch'avea Carlo detti pria.

86
E similmente con parlar non basso,
chiamando in testimonio il gran Maumette,
sul libro ch'in man tiene il suo papasso,
ciò che detto ha, tutto osservar promette.
Poi del campo si partono a gran passo,
e tra i suoi l'uno e l'altro si rimette:
poi quel par di campioni a giurar venne;
e 'l giuramento lor questo contenne:

87
Ruggier promette, se de la tenzone
il suo re viene o manda a disturbarlo,
che né suo guerrier più, né suo barone
esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo.
Giura Rinaldo ancor, che se cagione
sarà del suo signor quindi levarlo,
fin che non resti vinto egli o Ruggiero,
si farà d'Agramante cavalliero.

88
Poi che le cerimonie finite hanno,
si ritorna ciascun da la sua parte;
né v'indugiano molto, che lor danno
le chiare trombe segno al fiero marte.
Or gli animosi a ritrovar si vanno,
con senno i passi dispensando ed arte.
Ecco si vede incominciar l'assalto,
sonar il ferro, or girar basso, or alto.

89
Or inanzi col calce, or col martello
accennan quando al capo e quando al piede,
con tal destrezza e con modo sì snello,
ch'ogni credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier che combattea contro il fratello
di chi la misera alma gli possiede,
a ferir lo venìa con tal riguardo,
che stimato ne fu manco gagliardo.

90
Era a parar, più ch'a ferire, intento,
e non sapea egli stesso il suo desire:
spegner Rinaldo saria malcontento,
né vorria volentieri egli morire.
Ma ecco giunto al termine mi sento,
ove convien l'istoria diferire.
Ne l'altro canto il resto intenderete,
s'udir ne l'altro canto mi vorrete.


CANTO TRENTANOVESIMO


1
L'affanno di Ruggier ben veramente
è sopra ogn'altro duro, acerbo e forte,
di cui travaglia il corpo, e più la mente,
poi che di due fuggir non può una morte;
o da Rinaldo, se di lui possente
fia meno, o se fia più, da la consorte:
che se 'l fratel le uccide, sa ch'incorre
ne l'odio suo, che più che morte aborre.

2
Rinaldo, che non ha simil pensiero,
in tutti i modi alla vittoria aspira:
mena de l'azza dispettoso e fiero;
quando alle braccia e quando al capo mira.
Volteggiando con l'asta il buon Ruggiero
ribatte il colpo, e quinci e quindi gìra;
e se percuote pur, disegna loco
ove possa a Rinaldo nuocer poco.

3
Alla più parte dei signor pagani
troppo par disegual esser la zuffa:
troppo è Ruggier pigro a menar le mani,
troppo Rinaldo il giovine ribuffa.
Smarrito in faccia il re degli Africani
mira l'assalto, e ne sospira e sbuffa:
ed accusa Sobrin, da cui procede
tutto l'error, che 'l mal consiglio diede.

4
Melissa in questo tempo, ch'era fonte
di quanto sappia incantatore o mago,
avea cangiata la feminil fronte,
e del gran re d'Algier presa l'imago:
sembrava al viso, ai gesti Rodomonte,
e parea armata di pelle di drago;
e tal lo scudo e tal la spada al fianco
avea, quale usava egli, e nulla manco.

5
Spinse il demonio inanzi al mesto figlio
del re Troiano, in forma di cavallo;
e con gran voce e con turbato ciglio
disse: - Signor, questo è pur troppo fallo,
ch'un giovene inesperto a far periglio,
contra un sì forte e sì famoso Gallo
abbiate eletto in cosa di tal sorte,
che 'l regno e l'onor d'Africa n'importe.

6
Non si lassi seguir questa battaglia,
che ne sarebbe in troppo detrimento.
Su Rodomonte sia, né ve ne caglia,
l'avere il patto rotto e 'l giuramento.
Dimostri ognun come sua spada taglia:
poi ch'io ci sono, ognun di voi val cento. -
Poté questo parlar sì in Agramante,
che senza più pensar si cacciò inante.

7
Il creder d'aver seco il re d'Algieri
fece che si curò poco del patto;
e non avria di mille cavallieri
giunti in suo aiuto sì gran stima fatto.
Perciò lance abbassar, spronar destrieri
di qua di là veduto fu in un tratto.
Melissa, poi che con sue finte larve
la battaglia attaccò, subito sparve.

8
I duo campion che vedeno turbarsi
contra ogni accordo, contra ogni promessa,
senza più l'un con l'altro travagliarsi,
anzi ogni ingiuria avendosi rimessa,
fede si dàn né qua né là impacciarsi,
fin che la cosa non sia meglio espressa,
chi stato sia che i patti ha rotto inante,
o 'l vecchio Carlo, o 'l giovene Agramante.

9
E replican con nuovi giuramenti
d'esser nimici a chi mancò di fede.
Sozzopra se ne van tutte le genti:
chi porta inanzi e chi ritorna il piede.
Chi sia fra i vili, e chi tra i più valenti
in un atto medesimo si vede:
son tutti parimente al correr presti;
ma quei corrono inanzi, e indietro questi.

10
Come levrier che la fugace fera
correre intorno ed aggirarsi mira,
né può con gli altri cani andare in schiera,
che 'l cacciator lo tien, si strugge d'ira,
si tormenta, s'affligge e si dispera,
schiattisce indarno, e si dibatte e tira;
così sdegnosa infin allora stata
Marfisa era quel dì con la cognata.

11
Fin a quell'ora avean quel dì vedute
sì ricche prede in spazioso piano;
e che fosser dal patto ritenute
di non poter seguirle e porvi mano,
ramaricate s'erano e dolute,
e n'avean molto sospirato invano.
Or che i patti e le triegue vider rotte,
liete saltar ne l'africane frotte.

12
Marfisa cacciò l'asta per lo petto
al primo che scontrò, due braccia dietro:
poi trasse il brando, e in men che non l'ho detto,
spezzò quattro elmi, che sembrar di vetro.
Bradamante non fe' minore effetto;
ma l'asta d'or tenne diverso metro:
tutti quei che toccò, per terra mise;
duo tanti fur, né però alcuno uccise.

13
Questo sì presso l'una all'altra fero,
che testimonie se ne fur tra loro;
poi si scostaro, ed a ferir si diero,
ove le trasse l'ira, il popul Moro.
Chi potrà conto aver d'ogni guerriero
ch'a terra mandi quella lancia d'oro?
o d'ogni testa che tronca o divisa
sia da la orribil spada di Marfisa?

14
Come al soffiar de' più benigni venti,
quando Apennin scuopre l'erbose spalle,
muovonsi a par duo turbidi torrenti
che nel cader fan poi diverso calle;
svellono i sassi e gli arbori eminenti
da l'alte ripe, e portan ne la valle
le biade e i campi; e quasi a gara fanno
a chi far può nel suo camin più danno:

15
così le due magnanime guerriere,
scorrendo il campo per diversa strada,
gran strage fan ne l'africane schiere,
l'una con l'asta, e l'altra con la spada.
Tiene Agramante a pena alle bandiere
la gente sua, ch'in fuga non ne vada.
Invan domanda, invan volge la fronte;
né può saper che sia di Rodomonte.

16
A conforto di lui rotto avea il patto
(così credea) che fu solennemente,
i dei chiamando in testimonio, fatto;
poi s'era dileguato sì repente.
Né Sobrin vede ancor: Sobrin ritratto
in Arli s'era, e dettosi innocente;
perché di quel pergiuro aspra vendetta
sopra Agramante il dì medesmo aspetta.

17
Marsilio anco è fuggito ne la terra:
sì la religion gli preme il core.
Perciò male Agramante il passo serra
a quei che mena Carlo imperatore,
d'Italia, di Lamagna e d'Inghilterra,
che tutte gente son d'alto valore;
ed hanno i paladin sparsi tra loro,
come le gemme in un riccamo d'oro:

18
e presso ai paladini alcun perfetto
quanto esser possa al mondo cavalliero,
Guidon Selvaggio, l'intrepido petto,
e i duo famosi figli d'Oliviero.
Io non voglio ridir, ch'io l'ho già detto,
di quel par di donzelle ardito e fiero.
Questi uccidean di genti saracine
tanto, che non v'è numero né fine.

19
Ma differendo questa pugna alquanto,
io vo' passar senza navilio il mare.
Non ho con quei di Francia da far tanto,
ch'io non m'abbia d'Astolfo a ricordare.
La grazia che gli diè l'apostol santo
io v'ho già detto, e detto aver mi pare,
che 'l re Branzardo e il re de l'Algazera
per girli incontra armasse ogni sua schiera.

20
Furon di quei ch'aver poteano in fretta,
le schiere di tutta Africa raccolte,
non men d'inferma età che di perfetta;
quasi ch'ancor le femine fur tolte.
Agramante ostinato alla vendetta
avea già vota l'Africa due volte.
Poche genti rimase erano, e quelle
esercito facean timido e imbelle.

21
Ben lo mostrar; che gli nimici a pena
vider lontan, che se n'andaron rotti.
Astolfo, come pecore, li mena
dinanzi ai suoi di guerreggiar più dotti,
e fa restarne la campagna piena:
pochi a Biserta se ne son ridotti.
Prigion rimase Bucifar gagliardo;
salvossi ne la terra il re Branzardo,

22
via più dolente sol di Bucifaro,
che se tutto perduto avesse il resto.
Biserta è grande, e farle gran riparo
bisogna, e senza lui mal può far questo:
poterlo riscattar molto avria caro.
Mentre vi pensa e ne sta afflitto e mesto,
gli viene in mente come tien prigione
già molti mesi il paladin Dudone.

23
Lo prese sotto a Monaco in riviera
il re di Sarza nel primo passaggio.
Da indi in qua prigion sempre stato era
Dudon che del Danese fu lignaggio.
Mutar costui col re de l'Algazera
pensò Branzardo, e ne mandò messaggio
al capitan de' Nubi, perché intese
per vera spia, ch'egli era Astolfo inglese.

24
Essendo Astolfo paladin, comprende
che dee aver caro un paladino sciorre.
Il gentil duca, come il caso intende,
col re Branzardo in un voler concorre.
Liberato Dudon, grazie ne rende
al duca, e seco si mette a disporre
le cose che appertengono alla guerra,
così quelle da mar, come da terra.

25
Avendo Astolfo esercito infinito
da non gli far sette Afriche difesa;
e rammentando come fu ammonito
dal santo vecchio che gli diè l'impresa
di tor Provenza e d'Acquamorta il lito
di man di Saracin che l'avean presa;
d'una gran turba fece nuova eletta,
quella ch'al mar gli parve manco inetta.

26
Ed avendosi piene ambe le palme,
quanto potean capir, di varie fronde
a lauri, a cedri tolte, a olive, a palme,
venne sul mare, e le gittò ne l'onde.
Oh felici, e dal ciel ben dilette alme!
Grazia che Dio raro a' mortali infonde!
Oh stupendo miracolo che nacque
di quelle frondi, come fur ne l'acque!

27
Crebbero in quantità fuor d'ogni stima;
si feron curve e grosse e lunghe e gravi;
le vene ch'attraverso aveano prima,
mutaro in dure spranghe e in grosse travi:
e rimanendo acute inver la cima,
tutte in un tratto diventaro navi
di differenti qualitadi, e tante,
quante raccolte fur da varie piante.

28
Miracol fu veder le fronde sparte
produr fuste, galee, navi da gabbia.
Fu mirabile ancor, che vele e sarte
e remi avean, quanto alcun legno n'abbia.
Non mancò al duca poi chi avesse l'arte
di governarsi alla ventosa rabbia;
che di Sardi e di Corsi non remoti,
nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.

29
Quelli che entraro in mar, contati foro
ventiseimila, e gente d'ogni sorte.
Dudon andò per capitano loro,
cavallier saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava l'armata ancora al lito moro,
miglior vento aspettando, che la porte,
quando un navilio giunse a quella riva,
che di presi guerrier carco veniva.

30
Portava quei ch'al periglioso ponte,
ove alla giostre il campo era sì stretto,
pigliato avea l'audace Rodomonte,
come più volte io v'ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del conte,
e 'l fedel Brandimarte e Sansonetto,
ed altri ancor, che dir non mi bisogna,
d'Alemagna, d'Italia e di Guascogna.

31
Quivi il nocchier, ch'ancor non s'era accorto
degli inimici, entrò con la galea,
lasciando molte miglia a dietro il porto
d'Algieri, ove calar prima volea,
per un vento gagliardo ch'era sorto,
e spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette e in loco fido,
come vien Progne al suo loquace nido.

32
Ma come poi l'imperiale augello,
i gigli d'oro e i pardi vide appresso,
restò pallido in faccia, come quello
che 'l piede incauto d'improviso ha messo
sopra il serpente venenoso e fello,
dal pigro sonno in mezzo l'erbe oppresso;
che spaventato e smorto si ritira,
fuggendo quel, ch'è pien di tosco e d'ira.

33
Già non poté fuggir quindi il nocchiero,
né tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu, con Oliviero,
con Sansonetto e con molti altri tratto
ove dal duca e dal figliuol d'Uggiero
fu lieto viso agli suo' amici fatto;
e per mercede lui che li condusse,
volson che condannato al remo fusse.

34
Come io vi dico, dal figliuol d'Otone
i cavallier cristian furon ben visti,
e di mensa onorati al padiglione,
d'arme e di ciò che bisognò provisti.
Per amor d'essi differì Dudone
l'andata sua; che non minori acquisti
di ragionar con tai baroni estima,
che d'esser gito uno o duo giorni prima.

35
In che stato, in che termine si trove
e Francia e Carlo, istruzion vera ebbe;
e dove più sicuramente, e dove,
per far miglior effetto, calar debbe.
Mentre da lor venìa intendendo nuove,
s'udì un rumor che tuttavia più crebbe;
e un dar all'arme ne seguì sì fiero,
che fece a tutti far più d'un pensiero.

36
Il duca Astolfo e la compagnia bella,
che ragionando insieme si trovaro,
in un momento armati furo e in sella,
e verso il maggior grido in fretta andaro,
di qua di là cercando pur novella
di quel romore; e in loco capitaro,
ove videro un uom tanto feroce,
che nudo e solo a tutto 'l campo nuoce.

37
Menava un suo baston di legno in volta,
che era sì duro e sì grave e sì fermo,
che declinando quel, facea ogni volta
cader in terra un uom peggio ch'infermo.
Già a più di cento avea la vita tolta;
né più se gli facea riparo o schermo,
se non tirando di lontan saette:
d'appresso non è alcun già che l'aspette.

38
Dudone, Astolfo, Brandimarte, essendo
corsi in fretta al romore, ed Oliviero,
de la gran forza e del valor stupendo
stavan maravigliosi di quel fiero;
quando venir s'un palafren correndo
videro una donzella in vestir nero,
che corse a Brandimarte e salutollo,
e gli alzò a un tempo ambe le braccia al collo.

39
Questa era Fiordiligi, che sì acceso
avea d'amor per Brandimarte il core,
che quando al ponte stretto il lasciò preso,
vicina ad impazzar fu di dolore.
Di là dal mare era passata, inteso
avendo dal pagan che ne fu autore,
che mandato con molti cavallieri
era prigion ne la città d'Algieri.

40
Quando fu per passare, avea trovato
a Marsilia una nave di Levante,
ch'un vecchio cavalliero avea portato
de la famiglia del re Monodante;
il qual molte province avea cercato,
quando per mar, quando per terra errante,
per trovar Brandimarte; che nuova ebbe
tra via di lui, ch'in Francia il troverebbe.

41
Ed ella, conosciuto che Bardino
era costui, Bardino che rapito
al padre Brandimarte piccolino,
ed a Rocca Silvana avea notrito,
e la cagione intesa del camino,
seco fatto l'avea scioglier dal lito,
avendogli narrato in che maniera
Brandimarte passato in Africa era.

42
Tosto che furo a terra, udir le nuove,
ch'assediata d'Astolfo era Biserta:
che seco Brandimarte si ritrove
udito avean, ma non per cosa certa.
Or Fiordiligi in tal fretta si muove,
come lo vede, che ben mostra aperta
quella allegrezza ch'i precessi guai
le fero la maggior ch'avesse mai.

43
Il gentil cavallier, non men giocondo
di veder la diletta e fida moglie
ch'amava più che cosa altra del mondo,
l'abraccia e stringe e dolcemente accoglie:
né per saziare al primo né al secondo
né al terzo bacio era l'accese voglie;
se non ch'alzando gli occhi ebbe veduto
Bardin che con la donna era venuto.

44
Stese le mani, ed abbracciar lo volle,
e insieme domandar perché venìa;
ma di poterlo far tempo gli tolle
il campo ch'in disordine fuggia
dinanzi a quel baston che 'l nudo folle
menava intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi mirò quel nudo in fronte,
e gridò a Brandimarte: - Eccovi il conte! -

45
Astolfo tutto a un tempo, ch'era quivi,
che questo Orlando fosse, ebbe palese
per alcun segno che dai vecchi divi
su nel terrestre paradiso intese.
Altrimente restavan tutti privi
di cognizion di quel signor cortese;
che per lungo sprezzarsi, come stolto,
avea di fera, più che d'uomo, il volto.

46
Astolfo per pietà che gli traffisse
il petto e il cor, si volse lacrimando;
ed a Dudon (che gli era appresso) disse,
ed indi ad Oliviero: - Eccovi Orlando! -
Quei gli occhi alquanto e le palpèbre fisse
tenendo in lui, l'andar raffigurando;
e 'l ritrovarlo in tal calamitade,
gli empì di meraviglie e di pietade.

47
Piangeano quei signor per la più parte:
sì lor ne dolse, e lor ne 'ncrebbe tanto.
- Tempo è (lor disse Astolfo) trovar arte
di risanarlo, e non di fargli il pianto. -
E saltò a piedi, e così Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero e Dudon santo;
e s'aventaro al nipote di Carlo
tutti in un tempo; che volean pigliarlo.

48
Orlando che si vide fare il cerchio,
menò il baston da disperato e folle;
ed a Dudon che si facea coperchio
al capo de lo scudo ed entrar volle,
fe' sentir ch'era grave di soperchio:
e se non che Olivier col brando tolle
parte del colpo, avria il bastone ingiusto
rotto lo scudo, l'elmo, il capo e il busto.

49
Lo scudo roppe solo, e su l'elmetto
tempestò sì, che Dudon cadde in terra.
Menò la spada a un tempo Sansonetto;
e del baston più di duo braccia afferra
con valor tal, che tutto il taglia netto.
Brandimarte ch'addosso se gli serra,
gli cinge i fianchi, quanto può, con ambe
le braccia, e Astolfo il piglia ne le gambe.

50
Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi
da sé l'Inglese fe' cader riverso:
non fa però che Brandimarte il lassi,
che con più forza l'ha preso a traverso.
Ad Olivier che troppo inanzi fassi,
menò un pugno sì duro e sì perverso,
che lo fe' cader pallido ed esangue,
e dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue.

51
E se non era l'elmo più che buono,
ch'avea Olivier, l'avria quel pugno ucciso:
cadde però, come se fatto dono
avesse de lo spirto al paradiso.
Dudone e Astolfo che levati sono,
ben che Dudone abbia gonfiato il viso,
e Sansonetto che 'l bel colpo ha fatto,
adosso a Orlando son tutti in un tratto.

52
Dudon con gran vigor dietro l'abbraccia,
pur tentando col piè farlo cadere:
Astolfo e gli altri gli han prese le braccia,
né lo puon tutti insieme anco tenere.
C'ha visto toro a cui si dia la caccia,
e ch'alle orecchie abbia le zanne fiere,
correr mugliando, e trarre ovunque corre
i cani seco, e non potersi sciorre;

53
imagini ch'Orlando fosse tale,
che tutti quei guerrier seco traea.
In quel tempo Olivier di terra sale,
là dove steso il gran pugno l'avea;
e visto che così si potea male
far di lui quel ch'Astolfo far volea,
si pensò un modo, ed ad effetto il messe,
di far cader Orlando, e gli successe.

54
Si fe' quivi arrecar più d'una fune,
e con nodi correnti adattò presto;
ed alle gambe ed alle braccia alcune
fe' porre al conte, ed a traverso il resto.
Di quelle i capi poi partì in commune,
e li diede a tenere a quello e a questo.
Per quella via che maniscalco atterra
cavallo o bue, fu tratto Orlando in terra.

55
Come egli è in terra, gli son tutti adosso,
e gli legan più forte e piedi e mani.
Assai di qua di là s'è Orlando scosso,
ma sono i suoi risforzi tutti vani.
Commanda Astolfo che sia quindi mosso,
che dice voler far che si risani.
Dudon ch'è grande, il leva in su le schene,
e porta al mar sopra l'estreme arene.

56
Lo fa lavar Astolfo sette volte;
e sette volte sotto acqua l'attuffa;
sì che dal viso e da le membra stolte
leva la brutta rugine e la muffa:
poi con certe erbe, a questo effetto colte,
la bocca chiuder fa, che soffia e buffa;
che non volea ch'avesse altro meato
onde spirar, che per lo naso, il fiato.

57
Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso
in che il senno d'Orlando era rinchiuso;
e quello in modo appropinquogli al naso,
che nel tirar che fece il fiato in suso,
tutto il votò: maraviglioso caso!
che ritornò la mente al primier uso;
e ne' suoi bei discorsi l'intelletto
rivenne, più che mai lucido e netto.

58
Come chi da noioso e grave sonno,
ove o vedere abominevol forme
di mostri che non son, né ch'esser ponno,
o gli par cosa far strana ed enorme,
ancor si maraviglia, poi che donno
è fatto de' suoi sensi, e che non dorme;
così, poi che fu Orlando d'error tratto,
restò maraviglioso e stupefatto.

59
E Brandimarte, e il fratel d'Aldabella,
e quel che 'l senno in capo gli ridusse,
pur pensando riguarda, e non favella,
come egli quivi e quando si condusse.
Girava gli occhi in questa parte e in quella,
né sapea imaginar dove si fusse.
Si maraviglia che nudo si vede,
e tante funi ha da le spalle al piede.

60
Poi disse, come già disse Sileno


 


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